Atlantismi a confronto

di Domenico Fracchiolla

L’agenda internazionale delle ultime settimane (riunione ministri delle finanze del G20, riunione informale G7, Conferenza di Monaco sulla sicurezza, Consiglio europeo, Comunicazione congiunta dell’Alto rappresentante e Commissione europea) ha riportato al centro dell’attualità politica internazionale il tema del multilateralismo. A determinate condizioni, una nuova stagione di multilateralismo potrebbe ridisegnare l’assetto della Relazioni Internazionali, stravolte dalle scelte unilaterali di Trump. Se 3 indizi fanno una prova, 5 possono aprire la strada ad una nuova tendenza.

Gli orientamenti del nuovo governo di Joe Biden negli Stati Uniti, le prese di posizione dell’UE e le prime uscite dei governi di Mario Draghi in Italia e Yoshide Suga in Giappone hanno alimentato il ritorno di interesse che potrebbe trasformarsi in una chiara tendenza verso il Multilateralismo, risolutivo strumento di governance internazionale. Ma di quale multilateralismo stiamo parlando?

Sin dai primi giorni alla Casa Bianca, Joe Biden ha professato la sua determinazione a rientrare con convinzione nei principali consessi multilaterali da cui gli Stati Uniti si erano allontanati: dall’Organizzazione mondiale della sanità, all’Accordo di Parigi  sul contrasto ai cambiamenti climatici. Nel primo discorso all’Europa da Presidente, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 18 febbraio scorso, Biden ha riaffermato l’importanza dell’Alleanza atlantica e soprattutto della partnership con l’Unione europea in una cornice multilaterale.  Il suo non è un ritorno al multilateralismo tout court, ma ad un multilateralismo qualificato dalla difesa dei valori occidentali. Per rispondere ai ripetuti attacchi degli autoritarismi, a partire dai tentativi della Russia di utilizzare la corruzione per minare il sistema di governance occidentale e alle minacce che provengono dalla Cina, Biden propone un nuovo containment, che ridefinisce il perimetro atlantico attraverso il multilateralismo tra ‘alleati’, opponendosi ai regimi che non condividono i valori liberali dell’economia di mercato e della democrazia liberale. Biden conferma la volontà di evitare scelte estreme e di prediligere la scelta del giusto mezzo, la “just right option”. Ma la moderazione ha un limite invalicabile, ovvero il rispetto dell’ordine liberale. Il diritto di Popper dei tolleranti di essere intolleranti nei confronti degli intolleranti è elevato ad imperativo categorico di azione.

Thomas Wright, Direttore del Center on the USA and Europe del Brookings Institute, in un Report di febbraio 2021, differenzia le diverse declinazioni di multilateralismo, distinguendo l’approccio “reinvigorate the free world” (rinvigorisci il mondo libero) seguito tradizionalmente dagli Stati Uniti e proposto anche dall’amministrazione Biden, dall’approccio “incrementalist” (incrementale), dominante nell’UE negli ultimi venti anni.

Secondo la prima prospettiva, l’Europa, al fianco degli USA, opera per rafforzare le democrazie aperte contro le minacce autoritarie, mentre per la seconda, di cui parleremo analizzando i documenti di seguito considerati, il multilateralismo consiste nell’integrare la Cina e altre Paesi non occidentali nel sistema liberale.

L’atlantismo europeo, confrontato con la versione normativa statunitense, predilige il dialogo e il confronto rispetto alla contrapposizione frontale, senza voler rinunciare all’insostituibile stretto rapporto con gli USA. Ciò a conferma dell’ambizione dell’UE di ritagliarsi spazi di maggiore autonomia, nella convinzione che l’Ue debba diventare più geopolitica, come sostenuto dalla Presidente Ursula von der Leyen nella sua visione del mandato della Commissione europea (State of Union, settembre 2020).

Dall’altra parte, gli USA manifestano la volontà di riaffermare la propria leadership nel mondo occidentale. Il rischio paventato da Kagan fin dal 2002 di un’Europa venusiana contrapposta ad un America marziana è nuovamente attuale? Con il ritorno alla “normalità” di Biden la risposta non può che essere negativa, ma di sicuro esistono divaricazioni significative nelle relazioni transatlantiche sui modi, le forme ed i contenuti del nuovo multilateralismo.

L’Italia, con il governo Draghi, insiste sulla solidità delle tradizionali direttrici della politica estera del Paese, atlantica, europeista e mediterranea, sottolineando il forte ancoraggio democratico e nel sistema delle Nazioni Unite. Il dialogo “virtuoso” con la Turchia, al pari di “meccanismi di dialogo” con la Russia e con la Cina sono richiamati, pur con cautela, per i motivi di attenzione a causa del deteriorarsi del rispetto dei diritti umani in questi Paesi.

In tema di emergenza sanitaria, il multilateralismo di Draghi è fondamentale, declinando la salute come bene pubblico globale regolato con norme condivise e principi trasparenti. Come Boris Johnson sottolinea la necessità di sconfiggere a livello globale il Covid con il coordinamento tra alleati e partner internazionali, lavorando insieme, dalla colossale missione della distribuzione dei i vaccini al delineamento di strategie per una ripresa sostenibile.

Il comunicato finale del G20 del 26 febbraio riprendeva questi temi, evidenziando “i vantaggi di azioni coordinate e di una rafforzata cooperazione, concordando di evitare premature interruzioni delle misure di supporto economico”. Dello stesso tenore, la Comunicazione congiunta di Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, e della Commissione europea, del 17 febbraio, poneva il focus sul rafforzamento del contributo dell’Ue al multilateralismo come mezzo per realizzare priorità politiche concrete con regole chiare (a partire dalla sfida del Covid-19). Quello proposto dalla Commissione è un “multilateralismo modulare”, basato su una cooperazione più stretta con partner che condividono lo stesso orientamento dell’Ue, ma anche integrato da partenariati settoriali con altri attori, su questioni di interesse comune come il cambiamento climatico, l’istruzione e la tecnologia. Altri punti significativi sono l’esigenza di rinsaldare il partenariato transatlantico e  di rafforzare istituzioni internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio e l’Organizzazione mondiale della sanità. Le dichiarazioni del Consiglio Europeo del 25 e 26 febbraio sono meno ambiziose e pongono minori problemi sotto l’aspetto delle possibili diversificazioni tra più multilateralismi atlantici. E’ sottolineato il valore assoluto del multilateralismo attraverso l’esigenza di una risposta globale alla pandemia e manifestazioni di solidarietà dell’UE verso i paesi terzi, con lo strumento COVAX e la distribuzione di vaccini a 92 paesi a basso e a medio reddito. Oltre ad un rinnovato richiamo all’esigenza di rafforzare l’Organizzazione mondiale della sanità, si sottolinea l’imperativo di cooperare strettamente con la NATO e di rafforzare i partenariati con le Nazioni Unite.

Alla luce di queste pubbliche prese di posizione, esiste un punto di caduta nel quale le sponde dell’Atlantico si possono riavvicinare, ancora una volta, per il bene della democrazia e per la stabilità attraverso un nuovo consolidamento dell’ordine internazionale liberale?

Nel Report del Brookings prima citato, Thomas Wright aggiunge una terza possibilità allo sviluppo del multilateralismo, soprattutto in Europa: l’approccio “alone in the jungle” (solo nella giungla). Secondo questa strategia, l’Europa può agire come terzo polo distinto da Cina e Stati Uniti, sviluppando una reale autonomia strategica che passa anche dalla dimensione militare, evocata dal Presidente francese Macron più volte. La combinazione delle strategie jungle e free world è proposta da Wright per consentire all’Europa di proteggere i suoi interessi specifici e allo stesso tempo di difendere l’ordine liberale internazionale al fianco degli Stati Uniti, invece che considerarli al pari della Cina e dei Paesi non democratici, in una competizione tra multilateralismi democratici che indebolisce i valori liberali.

È evidente che per scongiurare la principale minaccia al sistema liberale, posta dai controrivoluzionari populisti di cui parla Zielonka (2018), è necessaria la collaborazione di tutte le democrazie. Pertanto, il dibattito sull’autonomia strategica europea dovrebbe concentrarsi sulla salvaguardia dei valori fondamentali del sistema liberale e sulla mission dell’Unione, a partire dalla difesa dei valori dello Stato di diritto, della democrazia e del libero mercato, sia all’esterno, contro i regimi autoritari, sia all’interno, contro i colossi delle multinazionali Big Tech e Big Pharma, e contro tutti i soggetti portatori di interessi che minano le regole fondamentali del sistema liberale.  Ad esempio, la posizione espressa dal sottosegretario al Tesoro Yellen nell’ultimo G20, favorevole all’accordo globale sulla digital tax, traduce in politiche concrete la difesa dell’ordine liberale. Il tema di digital tax, collegato alla tassazione minima delle multinazionali (cui lavorano Ocse e FMI) diventa un terreno comune di collaborazione tra i diversi multilateralismi di UE e USA.

Dal “no taxation without representation” al “no representation (nel mercato) without taxation” il passo è breve.