Blockchain e onlife. Sfida agli oligopoli del web 2.0?

di Federica Serafinelli

La blockchain può consentire strategie di comunicazione onlife, quale fluido scorrere di informazioni che dalla cosiddetta vita reale si riverberano su quella virtuale in una logica “uno-tutto” senza soluzione di continuità, decentralizzando la tendenza degli oligopoli delle internet company alla polarizzazione delle opinioni, di visioni del mondo e di scelte comportamentali all’interno di echo chamber e filter bubble. Questa destituzione progressiva, portata avanti per il tramite di una tecnologia basata su un sistema distribuito, raccoglie nelle proprie premesse di decentralizzazione e disintermediazione una tension verso la creazione di un universo che ripristini la libertà di scelta in un sistema di libero mercato, quell’aspirazione libertaria ed open source, senza il condizionamento algoritmico, che animava il World Wide Web ai suoi albori, negli anni ’90.

L’era del digitale, sviluppatasi sulle tentacolari diramazioni del web 2.0, ha comportato la tendenza a ricondurre le proprie azioni a scelte supportate dal sistema di valutazione dei pubblici nell’ambito dell’autorità di applicazioni e dispositivi. La prospettiva futura di un web 3.0 basato sulla tecnologia blockchain potrebbe decostruire questo sistema che predilige una pigra fiducia nei confronti del dominio della propria echo chamber al fine di spaziare in un ecosistema meno vincolato, anche perché meno profilato. Il confronto con il sistema della comunicazione onlife necessita di rigenerarsi rispetto alla sorveglianza algoritmica per tentare di superare il condizionamento esercitato da motori di ricerca e social media secondo le differenti diramazioni: dall’advertising ai suggerimenti di acquisto, dai video da visualizzare alla lettura dei post. Accettare e promuovere la sfida di un web rigenerato, che insegua, specialmente per i Brand, l’incentivo reputazionale di un’ecologia dei dati, significa riconoscere che la libertà di pensiero con l’avvento dei new media è stata condizionata da una serie di sottili interferenze ascrivibili al tracking, ovvero al tracciamento sui siti web operato da specifici tool, e alla data collection. Si tratta di processi per effetto dei quali lo user rimane nello spazio borderline di una fumosa zona grigia di complessiva incoscienza.

Il fatto che il data mining non si esplichi nella pratica di una presa di potere tangibile bensì di un’invasione impalpabile ha incentivato la fluidità con la quale la delega dell’attività di pensare, ricercare, interagire con gli oggetti, le esperienze e le persone ha interessato il settore tech e i titani della Silicon Valley come Google, Facebook, Amazon, Whatsapp ed Instagram. Il progresso del data mining nel periodo della rivoluzione digitale, durante gli anni 2000, ha visto nell’incentivazione delle ricerche sui browser l’accentuarsi di un rapporto di intimo affidamento da parte dell’utente nei confronti dei provider. Il paradosso della vastità, del senso di sconfinata illimitatezza nell’accesso alle informazioni, cioè del sistema della comunicazione tout court, ha prodotto nel contempo un senso di umana inadeguatezza nel gestire ciò che eccede in quanto privo di limiti. L’estirpazione dell’horror vacui nel confinamento all’angolo di una filter bubble, più o meno consapevole per gli utenti e del tutto oscura rispetto al suo perimetro originario, ha così trovato manifestazione del suo contrario. E ciò è avvenuto rispetto alla seduzione di una promessa di libertà, all’origine dell’espansione della Rete negli anni Novanta.

L’economia attuale è basata sulla comunicazione, tanto che la costumer experience e il modo in cui un ecosistema di marca viene narrato, può risultare quasi più importante della customer satisfaction. Il data gathering e il data processing sono i pilastri di una data-driven economy in cui l’analisi delle informazioni gode del privilegio di accedere in modo inesauribile ad una materia prima ormai molto più desiderabile del petrolio: i dati. Nell’accesso alle informazioni online, dove tutto è parte di un’olistica razionalità in cui dispieghiamo le nostre vite senza separazione tra reale e virtuale, molto avviene per le caratteristiche intrinseche dei browser, dei siti web, delle piattaforme e delle app. Si verifica, infatti, un’estrazione di dati (provided data e dati secondari dedotti) per via della quale non sembra sia possibile limitare la sperequazione delineatasi tra l’inermità dello user e le falangi degli internet provider, degli advertiser e dei publisher. L’approssimazione all’equilibrio sia dal punto di vista del ruolo, sia dal punto di vista del profiling della figura dell’utente si aprirebbe con un modello di browser che veicoli, attraverso la blockchain,  un’economia basata su criptovaluta, la cosiddetta “token economy”. Si tratta di un sistema di distribuzione di valore, tramite moneta digitale, presente nella struttura stessa del motore di ricerca che si prefigga di supportare un’istanza di “web sustainability” e un rapporto più ecologico con il data set degli individui.  Seguendo tale prospettiva, gli utenti verrebbero remunerati per l’attenzione rivolta all’advertising online, mentre ai publisher spetterebbero i proventi derivati da una pubblicità best-fit rispetto ai desideri dell’utente. Lo user, infatti, partecipa ai processi di comunicazione mediante una interazione digitale poiché è lo stesso sistema della mass self communication e della platform society a renderli consustanziali al vivere degli individui nelle società iperconnesse e ipercomplesse.

Un browser che permetta di incentivare, mediante valore distribuito in criptovaluta, l’attenzione degli user, consentirebbe anche una scelta a favore di un livello essenziale di profilazione legato a forme di advertising non più invasivo. Ciò per andare incontro alle esigenze dei content creator, siano essi advertiser siano publisher, con la finalità di allineare il più possibile il buyer persona della loro azienda con il profilo dello user.

Ma per quale motivo conviene realizzare questo ambizioso ecosistema in cui il carattere fondamentale della comunicazione online della politica, dell’economia e dell’interazione sociale non può non tener conto dello sfruttamento da parte delle internet company quando operano in una posizione dominante? L’estrazione del data set dell’utente finalizzata all’acquisizione di un dato spurio, che verrà processato perché acquisisca valore, non ha attualmente un riconoscimento monetario per l’utente, se non la promessa di un modello freemium di accesso alle informazioni. Eppure il valore dei dati collezionati ed analizzati è ampiamente superiore al confronto con le informazioni “gratuite” di un sito web, anche in virtù di analisi predittive di marketing che possono richiamarsi ai cosiddetti dead data, ovvero ai dati già impiegati, ma che di fatto possono risultare utili per ulteriori trasmissioni di informazioni e che, per via di questo carattere “rinnovabile”, possono essere preventivamente riposti, cioè resi stored, nei data warehouse. Curare l’approccio con il cliente, del resto, può incrementare aspetti reputazionali per l’azienda e di conseguenza permettere un’implementazione della relazione tra customer e Brand in termini di awarness ed engagement innalzando i profitti grazie all’attitudine delle company a muoversi in direzione di data analysis e privacy preserving. In un sistema di pagamenti in criptocurrency, per una rigenerazione delle asimmetrie presenti nell’universo della comunicazione digitale, la blockchain incentiverebbe, dunque, la decentralizzazione rispetto all’estrazione dei dati operata da una sorveglianza algoritmica, che confina nell’area polarizzata di una filter bubble le scelte personali e le chiavi interpretative attraverso le quali osservare ed agire nel mondo. L’effetto potrebbe essere anche quello di una progressiva destituzione degli oligopoli delle internet company e del modo di orientare all’acquisto di determinati prodotti o servizi cluster di consumatori, a partire da un advertising considerato spesso invasivo. Advertising che non risolve il problema della consumer’s floating attention, andando, invece, ad incrementare il disappunto dei fruitori e a creare i presupposti per una web experience  rallentata e per dei costi indesiderati in termini di banda.

La blockchain potrebbe aprire il varco a soluzioni nuove per riequilibrare le architetture disallineate che sistolicamente investono gli stakeholder dell’economia dei contenuti online, primi fra tutti gli user, intercettando nel contempo la prospettiva dell’Internet of value per un ecosistema di comunicazione sostenibile. I postulati sui quali tale tecnologia si espande riguardano la massima sicurezza della immodificabilità del registro distribuito (Distributed Ledger Technology) peer-to-peer tra i miner (nodi) sulla catena di blocchi, a meno che essa non sia invalidata nella sua totalità. E ciò a partire dalla volontà generale degli stakeholder. Si tratta di postulati che ineriscono la sua funzione di supporto delle transazioni in criptovaluta, cioè in una moneta “token” che consenta a tutti gli individui, indipendentemente dal Paese di residenza, di essere uguali dal punto di vista del valore della moneta impiegata. È interessante notare che le transazioni in criptovaluta non incorrono in problemi di tassazione proprio perché si tratta di monete virtuali con scopo di scambio o di investimento che non fanno capo a intermediari come banche centrali o governi: si pagherebbe semplicemente il servizio di currency exchange nel momento della trasformazione in fiat currency, benchè alcune legislazioni, come quella italiana, si siano già espresse in favore della tassazione delle plusvalenze in base ad una specifica corrispondenza tra criptomoneta e moneta legale e secondo un valore minimo detenuto per un certo periodo di tempo. La massima sicurezza della blockchain dovuta a trasparenza e protezione delle informazioni personali (alcune criptovalute garantiscono l’anonimato), nonché i suoi postulati di decentralizzazione, sono la premessa per una token economy in grado di incentivare un sistema liberal-democratico dal punto di vista dell’universo della comunicazione, dell’interazione con le informazioni, la pubblicità, i prodotti, le esperienze, i contenuti editoriali e le opinioni, ponendo particolare attenzione ai suoi sistemi di sicurezza per disattendere fenomeni di illegal data mining e crypto mining. Appianare la sperequazione tra gli stakeholder dell’economia dei contenuti online, cioè del fluido scorrere di pervasivi e imprescindibili “logoi digitali”, significa difendere il libero arbitrio e l’autodeterminazione individuale. Significa insomma proteggerli dal torpore di un’impalpabile, quanto sofisticata, dinamica top down. Una dinamica in via di sviluppo tra l’egemonia dei giant del settore tech e gli utenti, ormai cittadini del mondo.