Clubhouse, dove può arrivare il social della voce?

di Lucia Ritrovato, Francesco Di Costanzo

Si accede esclusivamente per invito. Si ascolta. Si dialoga. È un club a tutti gli effetti dove la voce è la vera protagonista. Non foto e video. Non documenti e link. Clubhouse è il nuovo social network. Sicuramente è quello che sta incuriosendo di più in questi primi mesi del 2021. Fondato a marzo 2020, in piena pandemia, dall’imprenditore americano Paul Davison e dall’ex ingegnere Google Rohan Seth, appena qualche settimana fa ha beneficiato di una valutazione da parte del mercato pari a oltre un miliardo di dollari. Ad oggi sono circa due milioni gli utenti e gli iscritti. In Italia è esploso solo da qualche giorno l’interesse per Clubhouse, tra la curiosità degli utenti e la voglia di sperimentazione.

Il nuovo social, dall’icona di riconoscimento decisamente “pop”, ha caratteristiche che rapiscono e incuriosiscono. Inizialmente pensi che sia proprio tutto fuorché una piattaforma social, vista la dinamica d’accesso limitata o la modalità di experience dell’utente che non può condividere schermi, immagini, foto, video e documenti.

Ma forse è proprio questa nuova progettualità fondata sull’immediatezza, rispetto a quello a cui siamo abituati con i suoi “competitor”, a renderlo innovativo. La voce per Clubhouse è quanto le immagini rappresentano per Instagram. Praticamente tutto. E la voce ha dato fin da subito alla piattaforma quella patina di autorevolezza anche nella comparazione con gli altri social. La “parola” qui è sinonimo di contenuto, approfondimento, autenticità. Infatti, il ruolo centrale in Clubhouse lo giocano le “room”, lì dove si incontrano gli utenti accomunati da interessi come quelli verso la politica, l’innovazione, lo sport, gli animali, il marketing, la comunicazione, il giornalismo, l’intrattenimento, la musica, ecc.

L’idea, come ha dichiarato il portavoce della piattaforma, è quella di creare “un’esperienza sociale incentrata sulla connessione, sull’apprendimento e sulle conversazioni autentiche, in modo tale che le persone chiudano l’app sentendosi meglio del momento in cui l’hanno aperta, proprio perché hanno stretto amicizie, incontrato nuove persone e anche appreso o approfondito qualcosa”.

Gli argomenti sono divisi per macro-aree e rappresentano la vera potenzialità della piattaforma perché possono coinvolgere chiunque e su tutti i fronti. Appena si accede, l’utente viene invitato a scegliere i propri argomenti di riferimento. E’ presente anche una barra di ricerca per contenuti. Ogni incontro è gestito da uno o più amministratori ed è moderato per alzata di mano. Quindi, ad oggi, questo social può contare sulla presenza di un format molto “ordinato” e anche su un’uscita “gentile” dalle stanze in cui si sviluppa la conversazione.

Frequentandolo, ricorda un po’ l’idea dei caffè letterari dove un tempo molto lontano si dialogava sull’attualità. Una sorta di podcast continuo nel quale il primo obiettivo da perseguire è quello di mettere in condizione professionisti (e non solo) di scambiare idee. Per questo motivo qualcuno ha anche parlato di “autoreferenzialità” in relazione a settori, aziende, organizzazioni. La verità è che Clubhouse è ancora, e a tutti gli effetti, uno strumento relazionale in via di sviluppo.

In Italia è nata una comunità di riferimento: #Clubhouseitalia. E anche nel settore pubblico c’è un certo interesse. PA Social, l’associazione nazionale per la comunicazione e informazione digitale della pubblica amministrazione, ha messo per esempio in campo un appuntamento settimanale di approfondimento tutti i lunedì alle 15 (oggi 1 marzo 2021 è la volta del prof. Francesco Giorgino, direttore del Master Luiss in Comunicazione e Marketing politico e istituzionale di MICS). Atam, l’azienda del trasporto pubblico di Reggio Calabria, ha scelto di organizzare un innovativo social customer care.

Clubhouse è stato tra l’altro definito anche come un “teatro” in miniatura. E potrebbe diventare a tutti gli effetti un social molto utilizzato soprattutto dal e nel settore culturale. In una fase in cui gli spettacoli e gli eventi live non sono ancora possibili, in cui i concerti sono annullati e i teatri ancora chiusi (si spera dalla fine di marzo 2021 di ripristinare un minimo di normalità), Clubhouse potrebbe essere sperimentato anche come luogo di incontro con e tra artisti, musicisti, attori. Per i fan sarebbe un’opportunità unica che va oltre la semplice diretta Instagram o Facebook, come del resto il periodo del lockdown ci ha costretti ed abituati a fare. Può essere il luogo di lancio di un nuovo album o di presentazione di un futuro tour, di un film, di un libro, persino un laboratorio.

Al momento, dunque, è possibile finire in una “room” e conversare con Jared Leto o Oprah Winfrey: le celebrities americane pare siano pazze di Clubhouse. Oppure è possibile imbattersi in un’audizione hollywoodiana o un musical di Broadway. A dicembre per esempio quaranta utenti, che si erano incontrati su Clubhouse, hanno organizzato e ospitato una produzione musicale in piena regola per migliaia di persone, finendo sui giornali con la loro idea.

Cosa può riservarci per il futuro questa nuova piattaforma è tutto da scoprire. Sicuramente il suo immediato successo deriva anche dal periodo storico che stiamo vivendo, nel quale al vuoto di socialità tradizionale corrisponde una richiesta di confronto e di qualità che va oltre il semplice “like” o la semplice chiamata su Zoom. Quanto un’azienda, una società, il singolo politico o professionista, un ente pubblico possano ricavare da un social di questa portata è ancora tutto da dimostrare, ma si capisce che non sono poche le potenzialità.

Ad oggi Clubhouse, come già detto, funziona su invito e solo con IOS. È probabile che la piattaforma venga allargata. Solo allora si capirà il suo futuro.