Come la psicologia può aiutare l’interazione tra robot e aziende

di Rumen Pozharliev

Gli stili di attaccamento moderano le risposte del consumatore ai robot che forniscono servizi. Dimostrazioni da alcune misurazioni affettive, attitudinali e comportamentali. Questo il titolo di uno studio scientifico appena pubblicato sulla rivista “Psychology & Marketing”.

Dietro il gergo accademico e apparentemente poco accessibile ai non addetti ai lavori, ci sono considerazioni che influenzeranno sempre di più la nostra vita di tutti i giorni. Per questa ragione abbiamo chiesto a uno degli autori, Rumen Pozharliev, docente alla Luiss di Neuroscienze e Marketing dei Consumatori, di spiegarci le principali conclusioni della ricerca.

Luiss Open. Nel vostro studio tracciate una relazione tra gli “stili di attaccamento” delle persone e le loro possibili reazioni ai robot. Innanzitutto, come spiegherebbe ai lettori cosa sono gli “stili di attaccamento”?

Pozharliev. Lo “stile di attaccamento”, in parole semplici, è un modello psicologico che descrive il nostro comportamento in una qualsiasi relazione sociale. È uno “stile” che, in ciascuno di noi, si forma grossomodo nei primi sette anni di vita, poi rimane tendenzialmente stabile nell’età adulta. Senza entrare in troppi dettagli, si può dire che esistono essenzialmente tre stili di attaccamento: sicuro, evitante e ansioso. Lo stile sicuro è tipico di coloro che cercano l’interazione con l’altro e si sentono sicuri nel farlo. Lo stile evitante è quello delle persone cui non piace l’idea di interagire con l’altro. Infine lo stile di attaccamento ansioso o ambivalente, quello che prendiamo in considerazione nel nostro studio, tipica di quanti cercano l’interazione sociale ma non si sentono sicuri nell’interazione stessa. Gli stili di attaccamento di ciascuno di noi possono essere dedotti da questionari ad hoc, ma anche dal profiling delle nostre attività online.

Luiss Open. Una volta selezionate delle persone con uno stile di attaccamento ansioso, come si è svolto il vostro esperimento di laboratorio?

Pozharliev. Il nostro obiettivo era valutare il tipo di interazione di queste persone con dei robot che offrono servizi al posto di esseri umani. Per ricreare un’interazione di questo tipo “in laboratorio”, ci siamo dovuti spostare nella realtà virtuale. Qui abbiamo ricreato la hall di un albergo in cui i clienti – persone in carne e ossa a cui abbiamo chiesto semplicemente di indossare dei visori per realtà virtuale – dovevano compiere le operazioni tipiche di un check-in per una stanza d’albergo.

Luiss Open. Cosa è emerso da queste interazioni uomo-robot?

Pozharliev. Devo fare una premessa. L’insieme delle persone con stile di attaccamento ansioso può essere diviso in sottoinsiemi. Ci sono persone con uno stile di attaccamento ansioso basso e persone con uno stile di attaccamento ansioso elevato che sono maggiormente insicure, che temono cioè di essere percepite in malo modo nell’interazione con l’altro. Ogni volta che una persona interagiva con un robot, siamo andati a misurare in tempo reale la sua variabilità della frequenza cardiaca (HRV), una proxy molto affidabile di una esperienza piacevole. In sintesi, se l’HRV aumenta, vuol dire che si sta verificando una interazione più piacevole, in una situazione giudicata sicura. Misurando l’HRV, ci siamo resi conto che le persone con stile di attaccamento ansioso elevato non hanno mostrato alcuna significativa differenza nell’interagire con un uomo o con un robot dietro il bancone dell’albergo. Le persone con stile di attaccamento ansioso più basso, invece, hanno vissuto meglio, diciamo come “più normale”, l’interazione con un essere umano rispetto a quella con un robot. Perché? Perché il robot non ci guarda male, non ci giudica, non dà un feedback emotivo alle nostre parole, dunque chi ha uno stile di attaccamento ansioso più elevato potrebbe preferire relazionarsi con questa macchina piuttosto che con un altro essere umano.

Luiss Open. Questo studio farà riflettere molte aziende che stanno valutando se percorrere o meno la strada della robotizzazione di certi servizi…

Pozharliev. Così dovrebbe essere. Ci sono infatti importanti considerazioni di pratica manageriale che possiamo far discendere dal nostro esperimento. La priorità, per un’azienda che sta pensando di offrire un certo servizio in modo robotizzato, è innanzitutto utilizzare i diversi stili di attaccamento ansioso come criterio per “segmentare” i propri potenziali clienti. In questo modo si potranno indirizzare verso l’interazione coi robot i soli clienti che sono più inclini a farlo. Partendo dal dato di fatto che ad oggi tutti siamo abituati a interagire con esseri umani, e dunque questa è la preferenza normale, la nostra ricerca dimostra che chi ha uno stile di attaccamento ansioso elevato potrebbe avere piacere a interagire anche con un robot. Se al contrario le aziende procedessero senza segmentare i clienti, magari perseguendo un efficientamento estremo attraverso la robotizzazione generalizzata dei servizi, correrebbero il rischio – come dimostra implicitamente il nostro studio – di allontanare del tutto i clienti con una marcata preferenza per un’interazione umana.

Luiss Open. Quali sono, secondo lei, i settori più interessati a questo tipo di ricerche sui cosiddetti “service robot” e sull’atteggiamento delle persone verso innovazioni simili?

Pozharliev. A oggi i robot che offrono servizi ai clienti sono diffusi nel settore della ristorazione. Inoltre si stanno rapidamente espandendo – soprattutto all’estero, a partire dall’Asia – nei settori dell’ospitalità alberghiera e della sanità. In tempi di pandemia da Covid-19, con tutti i rischi per la salute che derivano da certe situazioni di contatto, con i timori più o meno giustificati che comunque persisteranno nella nostra società, la diffusione di robot sembra destinata ad aumentare. Sensibilità etiche e accorgimenti manageriali in materia dovrebbero diventare il pane quotidiano di tutte le aziende davvero innovative.

(Articolo pubblicato su Luiss Open, 11 maggio 2021)