Competizione politica o tensione di sistema? Scenari elettorali per il dopo Merkel

di Christian Blasberg

In Germania si sta per chiudere un’era politica iniziata il 18 settembre 2005, con le elezioni da cui Angela Merkel uscì cancelliera per la prima volta, e che terminerà dopo 16 anni con le elezioni del prossimo 26 settembre, quando la stessa Merkel per la prima volta non sarà più candidata a guidare il Paese. Le battute finali del “regno” merkeliano, cui assistiamo in questi mesi, sono quantomeno sui generis per gli standard tedeschi. Da una parte la cancelliera si attendeva probabilmente una navigazione più tranquilla, non funestata da una pandemia senza precedenti né caratterizzata da tensioni istituzionali irrituali nel Paese. Dall’altra parte una quota importante degli elettori tedeschi, dopo 16 anni di governo Merkel, quasi fatica a immaginare un futuro senza la cancelliera. Anche per questi motivi del tutto peculiari è legittimo chiedersi a che tipo di competizione politica assisteremo nei prossimi mesi nella prima potenza economica europea, e se tale competizione non potrà comportare pure tensioni di sistema più profonde.

 

La nuova leadership di Armin Laschet e gli effetti sull’alleanza CDU/CSU

Nella CDU, il partito di Merkel, lo scorso 20 aprile in molti hanno tirato un grande sospiro di sollievo. Dopo una settimana di tira e molla, di negoziati esasperanti e di infinite polemiche, è stato ufficialmente scelto colui che dovrà correre come candidato cancelliere alle prossime elezioni: Armin Laschet, da tre mesi presidente della CDU. Si è imposto in uno scontro durissimo contro un candidato alquanto forte e diverso, il primo ministro bavarese e leader della CSU (partito “gemello” della CDU in Baviera), Markus Söder. Una settimana prima, il 12 aprile, Söder e Laschet avevano entrambi annunciato la loro intenzione di correre per la candidatura del tandem di centrodestra CDU/CSU; a quel punto Söder aveva detto che non avrebbero offerto una riedizione della sfida tra Helmut Kohl e Franz-Josef Strauss, i due giganti storici di CDU e CSU che nel 1980, con il loro scontro epocale per la candidatura a cancelliere, avevano portato i due partiti “gemelli” sull’orlo della rottura. Nonostante simili rassicurazioni, la battaglia di quest’ultima settimana poteva ben dare l’impressione di lasciare ferite profonde per il futuro. Soprattutto per quel che riguarda la popolarità, la distanza tra Laschet e Söder non poteva essere maggiore: mentre Söder nei sondaggi recenti ha goduto di un enorme gradimento popolare (pari al 37%), Laschet fin dalla sua nomina a presidente della CDU ha perso drammaticamente di sostegno (solo il 13 per cento dei tedeschi lo vuole- cancelliere). Söder però, seppur brontolando e non senza frecciate verso Berlino, ha dovuto infine constatare, dalla sua Monaco di Baviera, che la maggioranza della CDU gli ha negato il proprio sostegno. Risultato: appena nominato Laschet a candidato cancelliere del blocco CDU/CSU, l’unione del centrodestra è crollata nei sondaggi. Secondo l’autorevole istituto “Forsa”, il tandem CDU/CSU oggi arriverebbe oggi ad appena il 21%, il valore di gran lunga più basso mai registrato per la CDU/CSU da quando esistono rilevamenti d’opinione, cioè da oltre settant’anni.

La nomina di Laschet è quindi assai sorprendente, lo fa apparire ancora una volta come “un candidato malgrado se stesso”. Perché Laschet è tanto impopolare? Le sue recenti scelte come Ministro presidente della Renania Settentrionale-Vestfalia, soprattutto in materia di gestione della pandemia, sono state percepite come deboli e contraddittorie. In un primo momento, per esempio, Laschet era contrario a ogni “via nazionale” per contenere i contagi, oggi invece è favorevole a una soluzione nazionale che scavalchi i Länder. In un primo momento tentò di ergersi a protettore dei diritti personali dei cittadini, per poi proporre un duro “lockdown ponte” con coprifuoco che sarebbe dovuto durare fino all’avvenuta vaccinazione della maggioranza dei tedeschi – ignorando tra l’altro la notevole lentezza della campagna vaccinale tedesca. Inoltre la debolezza di Laschet dipende dal fatto di essere troppo identificato come il candidato della perfetta continuità con l’era Merkel, al punto di mancare di un profilo politico proprio (lo si chiama “l’uomo di gomma”), di idee nuove e innovative in una Germania e un’Europa che hanno urgente bisogno di riforme serie e profonde che l’immobilismo merkeliano stentava a disegnare.

D’altra parte non si è voluto “osare” il salto nel buio con Söder, carismatico, autorevole, ambizioso, avido di potere, dicono in tanti, ma fautore su molti punti di una politica diversa da quella di Merkel. Söder, leader del Land più ricco e moderno della Germania, avrebbe soprattutto puntato su un’Europa che presti crescente attenzione alle regioni, lasciando maggiore libertà agli Stati che la compongono, restringendo i compiti e i poteri da accentrare nell’Unione. Negli ultimi anni si è dimostrato decisamente più dialogante e comprensivo di molti suoi colleghi anche rispetto a certe torsioni simil-autoritarie di alcuni governi dell’Europa centro-orientale; la sua bussola è quella di coinvolgere anche i più recalcitranti nel gioco comunitario, cercando in questo modo di influenzare il loro operato. Spostandoci ancora più a est, poi, verso la Russia, può essere utile osservare che la Baviera governata da Söder è stata il primo Land – assieme alla Turingia del socialcomunista Bodo Ramelow – a chiedere ufficialmente a Berlino di autorizzare importazione e produzione del vaccino russo Sputnik V senza aspettare il placet di Bruxelles. Non si può escludere che la sconfitta del leader bavarese avrà ripercussioni sull’unione tra CDU e CSU. Certo però, quel patto di ferro è sopravvissuto a Kohl e Strauss negli anni Settanta e Ottanta, alla candidatura del bavarese Edmund Stoiber imposta contro una giovane e forse sottovalutata Angela Merkel nel 2002, e anche allo scontro sulla politica migratoria restrittiva di Horst Seehofer, ex-leader della CSU che nel 2018 minacciava la scissione. Tuttavia il panorama dei partiti politici in Germania sta cambiando e la vecchia idea di estendere la CDU alla Baviera e vice-versa la CSU su tutto il territorio tedesco, con quest’ultima all’attacco della destra nazional-conservatrice e populista (Alternative für Deutschland, AfD) e la prima tesa a seppellire definitivamente una già indebolita socialdemocrazia, ereditando il suo tradizionale elettorato operaio e piccolo borghese, potrebbe ridiventare un disegno interessante.

 

I Verdi rampanti e il “modello” austriaco, i Socialdemocratici in caduta libera

Il già citato sondaggio shock dello scorso 20 aprile non ha rivelato soltanto il crollo senza precedenti dell’unione CDU/CSU dopo l’annuncio della candidatura di Laschet, ma ha anche incoronato una nuova forza politica come primo partito in Germania: i Verdi. Quest’ultimi, infatti, lo stesso giorno hanno anche loro nominato la propria candidata cancelliera: la giovane e intelligente Annalena Baerbock, una scelta netta e “politicamente corretta”. Chi infatti, se non i Verdi, doveva presentare una candidata donna, visto che sia la CDU/CSU che la SPD (che già tempo fa aveva nominato l’attuale ministro delle Finanze Olaf Scholz) hanno puntato su degli uomini? Ma a differenza del chiasso registrato nella CDU (la CSU si era schierata all’unanimità dietro Söder), i Verdi hanno deciso l’esito della corsa tra la Baerbock e il co-leader del partito, Robert Habeck, in apparente armonia. Tanta unità e coerenza li ha portati a ben il 28% del gradimento popolare, almeno al momento.

È vero che i cambiamenti, nella politica tedesca, avvengono in genere molto lentamente, e a prescindere del sondaggio attuale Forsa – l’unico, per quanto autorevole, a registrare al momento un cambiamento così radicale dei rapporti di forza – sarà difficile, nelle prossime elezioni federali di settembre, assistere a un capovolgimento totale degli equilibri tra i partiti politici del Paese. Tuttavia, specialmente da quando è iniziata la fase della pandemia che ha colpito con maggiore forza la Germania, le indagini demoscopiche segnalano sensibili mutamenti nel livello di consenso raggiunti dagli attori politici. La media dei sondaggi tedeschi effettuata dal settimanale inglese Economist (vedi grafico qui sopra) conferma almeno la costante crescita dei Verdi, ormai stabilmente al di sopra dei 20 per cento e le difficoltà del centrodestra di tenersi al di sopra dei 30%.

Tale crescita di gradimento dei Verdi, anche grazie alla loro apertura verso le forze liberali dell’economia con progetti innovativi di industria sostenibile, li candida a diventare i più probabili sostituti della SPD come partner di governo della CDU/CSU dopo le elezioni. Anche se va osservato che da parte del centrodestra, forse un po’ a sorpresa, era stato più il conservatore Söder che il centrista Laschet a pronunciarsi per un governo nero-verde. Sarebbe il “modello austriaco” già in essere nel Paese alpino da oltre un anno sotto il cancelliere Sebastian Kurz, Paese al quale la Baviera – più di ogni altra regione tedesca – è legata in particolar modo per cultura e costumi, oltra che per vicinanza geografica. Laschet invece sembra sperare che i numeri delle elezioni di settembre ancora una volta permettano una coalizione con i socialdemocratici, la “Groko”, formula che ha garantito tanto successo a Merkel. Tale ipotesi però è ormai più che a rischio alla luce della fiacca performance nei sondaggi della SPD, tendenza che nemmeno il cambio di leadership di un anno fa ha in alcun modo invertito. Il partito più vecchio e tradizionale della Germania, infatti, da tempo vegeta intorno al 15%, un valore basso come ai tempi di Bismarck (alla fine del XIX secolo!), e nessuno sembra accorgersi del fatto che l’SPD fa ancora parte dell’attuale governo.

Tornando alla questione dei candidati alla guida del Paese, va anche detto che l’impatto della personalizzazione della politica sembra crescere. Soprattutto in questa tendenza sembrava aver riposto le sue speranze Söder, e la CDU scegliendo Laschet potrebbe aver fatalmente sottovalutato una simile novità. Alle recenti elezioni regionali in Renania-Palatinato e Baden-Württemberg si è assistito infatti al successo dei rispettivi Ministri presidenti, entrambi molto popolari: Horst Kretschmann dei Verdi in Baden-Württemberg e, ancora più significativo, Malu Dreyer in Renania-Palatinato, candidata della SPD che con la sua popolarità personale ha trascinato il partito al 37% dei consensi, probabilmente il doppio di quelli attesi dalla SPD in sua assenza. Insomma gli elettori scelgono di più le persone che non i partiti, un segnale che dovrebbe far riflettere in un sistema politico che tutt’oggi si chiama “democrazia dei partiti”. Tale trend, tra l’altro, potrebbe diventare fatale non solo per Laschet ma anche per Baerbock; i Verdi si sono collocati sempre in uno spirito di squadra in cui il singolo conta poco; a Baerbock si attribuisce poca esperienza politica; non è mai stata ministra regionale o in un’altra posizione di responsabilità istituzionale. Ora che i riflettori sono puntati su di lei, con gli attacchi degli avversari politici sulla sua persona destinati ad aumentare, questa inesperienza potrebbe infine rivelarsi dannosa.

 

L’estrema destra sempre più estrema e la divisione Ovest-Est

Negli scorsi anni, in Germania ma anche nel resto d’Europa, una grande quantità d’attenzione è stata dedicata alle sorti del movimento di destra radicale Alternative für Deutschland (AfD). Il loro programma, di recente, ha subito un’ulteriore radicalizzazione, per l’influenza di un’ala estrema guidata dal politico Björn Höcke. Finora la AfD aveva richiesto ufficialmente una profonda riforma dell’Eurozona e dell’Unione europea, per esempio, mentre adesso invoca esplicitamente un’uscita della Germania dall’Ue. Anche in tema di diritti civili, il programma attuale prevede esplicitamente il riferimento a una famiglia che può dirsi tale soltanto se formata da un padre, una madre e uno o più figli. Ma non finisce qui: la AfD  invoca esplicitamente la chiusura dei confini tedeschi, se necessario con muri e recinzioni, e il respingimento di tutti i migranti, inclusi quelli qualificati. La AfD, inoltre, cerca oggi di raccogliere consensi in una fetta significativa dell’opinione pubblica che è contraria alle restrizioni anti-pandemia, ai lockdown o che addirittura arriva a negare la pericolosità o l’esistenza del Covid-19. Sta attivamente infiltrando il movimento dei “Querdenker”, letteralmente: persone dal pensiero stravagante, che negli ultimi mesi ha portato insieme migliaia di manifestanti e antagonisti nelle grandi città tedesche, non da ultimo i responsabili per l’attacco al Bundestag nell’agosto 2020.

Recentemente i risultati alle elezioni regionali nei Laender di Baden-Wurttemberg e Renania-Palatinato sembrano segnalare una stabilizzazione, più che una crescita, dell’AfD nell’ovest del Paese. Eppure i suoi risultati a doppia cifra, soprattutto nell’Est, ricordano che a oltre 20 anni dall’unificazione della Germania, c’è ancora una ferita aperta nell’integrazione del Paese, dunque una potenziale fonte di ulteriori divisioni e instabilità. Tutt’oggi si può escludere che la AfD, dopo le elezioni del settembre 2021 possa essere presa in considerazione come partner di coalizione per la formazione di un nuovo governo, anche se la vicenda regionale turingiana dell’inizio del 2020, l’elezione “per sbaglio” di un Ministro-presidente liberale (FDP) con il sostegno dei voti dell’AfD (e della CDU), ha perlomeno rotto il tabù che le altre forze politiche avevano costruito nei confronti dell’AfD.

La stessa FDP potrebbe, grazie alla crescente stanchezza della popolazione per le restrizioni di libertà fondamentali a causa della pandemia, uscire dalle elezioni con un risultato significativo (il sondaggio Forsa citato prima gli assegna il 12%). Questo partito, più che ogni altro dell’arco democratico, sembra aver fugato per primo il timore di avere contatti con la AfD; infatti si è dimostrato, almeno a giudicare dalle esternazioni di alcuni suoi esponenti, non del tutto avverso a delle intese – ove necessario – anche con i populisti di destra. La Linke (Sinistra) invece ha cercato di reprimere del tutto ogni “sospetto di contatto” con la AfD, escludendo per esempio la sua ex-leader Sarah Wagenknecht, la quale nelle sue pubblicazioni aveva trovato diversi punti di contatto con la AfD, soprattutto nella critica del capitalismo. La Linke però non sembra riuscire ad approfittare di questa chiara presa di posizione e rimarrà, anche dopo le elezioni di settembre, ferma su una opposizione di principio. Ogni tanto si evocano le idee di una coalizione di sinistra con la SPD e i Verdi, come esiste a livello regionale nel Land di Turingia. Tuttavia è poco probabile che i numeri permetteranno una tale intesa anche a livello nazionale, e inoltre è piuttosto improbabile che una SPD guidata da Scholz si avventuri in una tale impresa o che i Verdi prendano seriamente in considerazione l’ipotesi.

 

Le tensioni istituzionali figlie della pandemia: il caso del federalismo

La Germania, la scorsa settimana, ha di fatto deciso di sospendere il federalismo nel campo della protezione della salute. Si è ritenuto di attivare una sorta di “freno d’emergenza” che farà scattare misure di contenimento dei contagi uniformi in tutto il Paese, non appena l’incidenza supererà i 100 nuovi casi di contagio per 100mila abitanti in una settimana. Una svolta storica, impressa dal governo Merkel dopo i ripetuti fallimenti dei tentativi di trovare un’intesa tra Laender. Un simile passaggio è particolarmente rilevante in un Paese che negli ultimi decenni è diventato simbolo – anche a livello europeo – del sistema federale. Una volta sottoposto a stress eccezionale, infatti, proprio questo sistema tipicamente tedesco sembra non aver retto all’urto. Durante la pandemia, essenzialmente, le conferenze dei Laender hanno spesso raggiunto laboriosi accordi sulle misure di contrasto ai contagi, per poi subito dopo disapplicare gli stessi accordi in nome di ogni sorta di particolarismo da parte di singoli Laender. Una crisi sistemica, quella del federalismo, che ha alimentato un senso di disorientamento tra i cittadini del Paese, ha peggiorato l’efficacia della gestione pandemica, e infine ha spinto Merkel a concentrare sul governo di Berlino una quantità di poteri senza precedenti. Per ora tutti i principali partiti che governano a livello locale, dalla CDU alla SPD, passando per CSU e Verdi, si sono detti sostanzialmente favorevoli a questa sospensione del federalismo nella lotta alla pandemia, nel tentativo di recuperare la credibilità persa agli occhi degli elettori. Siamo dunque di fronte a una tensione istituzionale che non è detto sarà passeggera, e le cui ricadute potrebbero influenzare in modo inatteso i comportamenti dell’elettorato da qui al prossimo 26 settembre.

 

Wechselstimmung e gradualità nel sistema tedesco

Anche sul fronte istituzionale, è opportuno chiudere su una nota di prudenza rispetto alla possibile radicalità di un cambio di rotta. Anche se gli osservatori vedono segnali di una Wechselstimmung, cioè l’inclinazione dell’opinione pubblica a desiderare qualche cambiamento, tale cambiamento sarà sempre graduale, senza mettere a rischio né il sistema istituzionale federale né l’assetto di fondo delle forze politiche. I Verdi, per diventare un’alternativa alla CDU/CSU, si sono dovuti adeguare su molti punti al partito di Merkel, quindi sono diventati piuttosto un elemento di continuità che di rottura. Armin Laschet, anche se fortemente impopolare, non farà scivolare la CDU in un abisso, seppure una sconfitta elettorale con un risultato sotto la soglia del 30% sia tra gli scenari realistici. Ogni risultato al di sopra di quello di quattro anni fa (32,8%) sarebbe comunque una sorpresa. Söder sarà sufficientemente avveduto per non trasformare la sua sconfitta in una guerra contro il partito “gemello”. E nemmeno la pandemia sembra poter scombussolare troppo il sistema tedesco, perché le forze politiche in campo sono riuscite a rappresentare tutto l’arco delle posizioni e delle paure dei cittadini emerse ai tempi di Covid-19. La Germania, se si muove, si muove con lentezza, anche dopo il 26 settembre.