Conte e la fiducia al Senato. Un’analisi dei quotidiani italiani
di David Bruschi
Un fenomeno in crescita quello della personalizzazione della politica. Un fenomeno inarrestabile e connaturato alle caratteristiche della società post-moderna. Max Weber legava questo concetto all’avvento della democrazia di massa, ma la sua analisi risale ad oltre un secolo fa e questa ampia distanza temporale rende evidente quanto la riflessione sulla individualizzazione della dimensione politica abbia potuto nel frattempo stratificarsi nel dibattito pubblico, arrivando a condizionare ripetutamente e in modo profondo il processo di costruzione della leadership e la conquista del consenso. Nel 2000 Giovanni Sartori, parlando di ‘videocrazia’, concentrava la propria attenzione sulla tendenza in atto nella società dominata dai mass media a favorire la personalizzazione della politica, spiegando nel contempo che il predominio della televisione, fondamentalmente basata sulla cultura dell’immagine, portava (e porta) a privilegiare in modo emotivo la personalità del leader rispetto al partito.
Che la personalizzazione della politica registri un incremento sia qualitativo sia quantitativo in ordine al racconto della realtà fatto dai media e alla sua percezione da parte dei cittadini/elettori, lo dimostra anche la dinamica della crisi di governo del Conte bis. E lo conferma anche il modo con cui i principali quotidiani italiani, ormai da alcune settimane, la stanno raccontando ai propri lettori. E’ questo l’oggetto specifico della presente analisi.
A innescare la crisi sono state, lo scorso 13 gennaio, le dimissioni delle ministre di Italia Viva, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, insieme a quelle del sottosegretario Ivan Scalfarotto. In realtà la crisi – intesa in questo caso non in senso formale ma sostanziale come presagio, cioè, di una possibile rottura del rapporto di fiducia fra Governo e Parlamento – era iniziata ben prima di quella data, anche se si era consumata unicamente nell’ambito dello spazio mediatico. Fin da subito i giornali hanno incentrato la propria narrazione su una emblematica dicotomia: Renzi contro Conte (e viceversa, come in ogni scontro tra personalità che si rispetti, tanto per restare in tema). Di questo duello è in effetti impregnata la narrazione delle vicende politico-istituzionali di questo inizio d’anno, a conferma dell’irreversibilità del processo al quale si faceva riferimento in precedenza, soprattutto da quando l’introduzione del sistema maggioritario ha contribuito a incardinare il confronto in termini binari e semplificati.
Conte-Renzi o Renzi-Conte è anche la dicotomia attorno alla quale sono state costruite le prime pagine dei quotidiani usciti in edicola il 20 gennaio, ovvero il giorno successivo al voto con cui il Senato ha confermato la fiducia al Governo in carica, sia pur con la formula della maggioranza dei presenti e non degli aventi diritto. Prendendo in esame i titoli di prima pagina dei 14 principali quotidiani italiani (Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore, Quotidiano Nazionale, Il Messaggero, Il Giornale, Il Fatto Quotidiano, Avvenire, Il Tempo, Il Manifesto, Il Dubbio, La Verità, Il Mattino e Il Secolo XIX) il riferimento a Giuseppe Conte appare per ben 31 volte: in 19 casi il Presidente del Consiglio viene citato direttamente per nome (Conte, Giuseppe Conte o anche “Giuseppi”), mentre per 12 volte è indicato come ‘Premier’ o ‘Presidente del Consiglio’, con l’obiettivo di dare maggiore rilievo, in questo caso, alla carica rivestita e al suo ruolo istituzionale. Ma la personalizzazione viene comunque rafforzata, in modo indiretto, anche dal fatto che le parole ‘Governo’ o ‘Esecutivo’ appaiano solo 11 volte – in media nemmeno un riferimento per ogni prima pagina presa in esame – confermando così come nel racconto e nell’analisi dei fatti politici sia ormai giunto a completamento il processo di trasfigurazione degli organismi costituzionali, cruciali per il funzionamento di una democrazia (in questo caso il Governo) nei personaggi che ne incarnano operativamente la funzione. La personalizzazione politica consiste in un costante aumento di importanza dei singoli rispetto al gruppo politico o alla realtà istituzionale di riferimento o, per dirla con Pasquino (2004), in un ‘netto prevalere della persona, delle sue qualità e della sua immagine su qualsiasi altro elemento, partito o programma’.
E’ interessante vedere quanto siano diverse le letture dei fatti politici che emergono dai titoli delle prime pagine del 20 gennaio quando questi fanno riferimento a Giuseppe Conte piuttosto che al Governo nel suo complesso. Tendenzialmente i quotidiani generalisti, escludendo quelli che più marcatamente parteggiano per l’uno o l’altro schieramento e che quindi danno valutazioni di matrice interpretativa, associano il riferimento al premier con la sottolineatura dei 156 voti che, permettendogli di raggiungere la maggioranza semplice, hanno garantito al Senato la fiducia all’Esecutivo: ‘Fiducia a Conte con 156 voti’ (Corriere della Sera), ‘Al Senato Conte ottiene solo la maggioranza relativa con 156 voti’ (La Repubblica), ‘Crisi, al Senato Conte arriva a 156’ (Il Sole 24 Ore), ‘Conte incassa 156 sì’ (Avvenire). Più critici, invece, i riferimenti che riguardano il Governo in quanto organo costituzionale del sistema politico e insieme espressione della maggioranza parlamentare: ‘Un governo piccolo piccolo’ (La Repubblica), ‘Governo a trazione ridotta’ (Il Messaggero), ‘Governo in bilico’ (Sole 24 Ore), ‘Compagine fragile’ (L’Avvenire), ‘Governo sotto la maggioranza assoluta’ (Qn).
E’ fatto ormai assodato che la semplificazione del racconto politico, legata in modo indissolubile al fenomeno della personalizzazione, spinga sempre di più gli osservatori verso una scelta interpretativa delle vicende tutta stretta nel binomio vittoria/sconfitta, mentre sembra attenuarsi l’interesse per le posizioni intermedie che suggeriscono la complessità del reale e richiedono un’analisi più approfondita degli accadimenti. Propensione che risulta accentuata quando il riferimento riguarda uno dei personaggi/protagonisti dello storytelling istituzionale. Così, come testimoniano i titoli sopra riportati e facendo seguito alla visione della fase attuale in termini di confronto/scontro fra personalità individuali più che tra diverse concezioni dell’agire politico collettivo, ecco che Conte, incassata la maggioranza e quindi la fiducia al Senato, in quanto persona esce parzialmente e temporaneamente rafforzato dalla lettura che di lui offrono le cronache di quelle ore (come è noto egli si è poi dimesso). Cronache che riservano invece all’istituzione Governo e alla maggioranza nel suo complesso gli accenti maggiormente critici. Tutto ciò, a causa del quadro politico di riferimento che mette a forte rischio la tenuta degli equilibri consolidatisi a partire da quando, il 5 settembre 2019 l’Esecutivo guidato da Giuseppe Conte e sostenuto da Movimento 5 Stelle, Pd, Leu e Italia Viva, era entrato in carica.
Ma se Conte è oggetto di una notevole esposizione mediatica anche come leader politico e non solo come soggetto istituzionale, Renzi non è da meno nella sua capacità di essere al centro dei riflettori. Sono 15 i riferimenti diretti che l’ex segretario del Partito Democratico (citato come Renzi, come Matteo e anche come ‘Il fiorentino’) guadagna nei titoli di prima pagina del 20 gennaio, inserito sempre in contesti di aperta contrapposizione con il Presidente del Consiglio (e forse proprio per questo premiato dall’attenzione mediatica) nel rispetto di uno dei format più accattivanti dell’era della personalizzazione: quello della drammatizzazione, intesa sia nel senso di ‘messa in scena’ del reale sia nel senso di racconto del reale drammatizzato secondo uno specifico punto di vista: in questo caso quello dello scontro tra personalità. Una tendenza che si accentua nei resoconti del voto forniti, sempre il 20 gennaio, dai giornali che (tolte un paio di citazioni riportate in testa all’elenco che segue) risultano fra i più politicamente schierati e quindi tra i più inclini a puntare sul dualismo della contrapposizione: ’Renzi: non avete la maggioranza’ (La Stampa), ‘Duello in aula fra Renzi e il premier’ (Avvenire), ‘Un mese per il rimpasto: l’asse dei due Matteo’ (Il Giornale), ‘Ora Renzi può fare il Paolini da telecamera’ (Il Fatto Quotidiano), ‘Il premier è appeso a Renzi’ (Il Tempo), ‘Il premier contro Renzi’ (Il Dubbio), ‘Renzi suonato, Conte bollito’ (La Verità), ‘Renzi: all’opposizione starò d’incanto’ (Il Secolo XIX).
Una dimensione conflittuale che prende la forma di una rappresentazione personalizzata e un confronto-scontro tutto giocato attorno alle figure dei due leader e alle loro personalità. In questo senso una spiegazione potrebbe arrivare dal fatto che sia Conte sia Renzi non siano a capo di realtà partitiche strutturate, capaci cioè di trascendere le proprie figure per farsi portatrici di interessi organizzati secondo le forme tradizionali del confronto politico. Giuseppe Conte è diventato Presidente del Consiglio in quanto tecnico e proprio grazie all’assenza di un partito di riferimento, condizione che gli ha permesso e ancora gli ha permesso finora di interpretare il ruolo di garante della convergenza di realtà politiche fra loro diverse. Renzi, che pure ha raggiunto da segretario del Pd il 40% dei voti alle europee del 2014, può fare affidamento su Italia Viva che è una formazione politica di recente costituzione e che ha un limitato riscontro elettorale sia in termini reali (fanno fede i risultati delle Regionali 2020) sia potenziali (visti i principali sondaggi che lo danno fra il 2 e il 3% dei consensi).
Sempre facendo riferimento alle 14 prime pagine del 20 gennaio prese in esame (che funzionano in questo contesto da bussola interpretativa) si può notare che ad avere spazio sono stati soprattutto i partiti più piccoli, ossia quelli il cui posizionamento, nell’ambito di una crisi tutta decisa da una manciata di voti, è risultato decisivo. E così, ecco le otto citazioni guadagnate da Forza Italia, soprattutto in relazione ai due senatori che hanno votato in disaccordo con le indicazioni dei dirigenti azzurri ed ecco le quattro citazioni guadagnate da Italia Viva e le due dell’Udc, formazione tornata improvvisamente al centro dell’interesse per un possibile supporto all’azione dell’attuale governo. E gli altri partiti? Solo due le citazioni guadagnate in prima pagina dal Pd, tre le citazioni per i 5 Stelle, gli azionisti di maggioranza del Governo, mentre Lega e Fratelli d’Italia non sono menzionati nemmeno una volta, sostituiti dai rispettivi leader Matteo Salvini (4 citazioni) e Giorgia Meloni (3). D’altra parte la leaderizzazione è anche e soprattutto questo: il capo che passa avanti a tutto, in una sorta di sineddoche della politica in cui si fa riferimento a una parte per indicare l’intero.