Dalla pandemia, una spinta verso il welfare society?

Di Eowin Casciano e Marta Gentili

Chi pensa ai lavoratori autonomi? Chi pensa all’oltre 1 milione e 650 mila professionisti fermati o rallentati dalla pandemia nelle proprie attività lavorativa per la maggior parte del 2020? Domande che, soprattutto nei primi mesi dell’anno scorso, sono rimbalzate tra i corridoi degli ordini professionali, dei consigli nazionali, delle associazioni di categoria e degli enti di previdenza e assistenza privati che tutelano la libera attività professionale in tutte le sue forme. È la platea di quei cittadini che, come professionisti, scelgono di mettersi in proprio, di scommettere sulle proprie competenze, posizionandosi sul mercato per iniziativa individuale. Una scelta che si fa stile di vita, perché comporta l’assunzione della sfida imprenditoriale ed il rischio di instabilità economica.
Welfare “pandemico” per i professionisti: un’occasione?
Quando accade che la fisiologica instabilità economica caratterizzante l’attività autonoma viene svincolata dal normale andamento delle logiche del libero mercato e della libera concorrenza, ma consegue a un “fatto sociale totale” (Mauss, 2002), come successo con la pandemia, la tenuta del tessuto produttivo coltivato da questa fascia di lavoratori è messo gravemente a rischio nel lungo periodo, specie se non adeguatamente supportato da tempestive soluzioni aderenti alle specificità e caratteristiche delle professioni autonome svolte.
Ed è proprio rispetto a tali caratteristiche e specificità strutturali ed organizzative che, in una condizione di social disruption (Beck, 2011) accelerata dalla pandemia, è emersa l’estrema difficoltà di individuare ed implementare norme emergenziali e generali di sostegno. A tutti i livelli e su tutti piani, da quello politico-governativo, a quello sociale-economico.
Ricondurre a unità un mondo così eterogeneo per storia, regolamentazioni, ambiti di intervento e competenze è una sfida tutt’altro che scontata. Eppure, la volontà e l’impegno nell’affrontare questa sfida è emersa chiaramente dalle scelte che il decisore politico ed il legislatore hanno assunto, anche sulla scorta delle sollecitazioni pervenute dalle rappresentanze del mondo professionale come, ad esempio, l’AdEPP, l’Associazione degli Enti Previdenziali Privati e Privatizzati. L’Associazione, insieme alle Casse in essa riunite, da sempre riconosce nel welfare la leva per lo sviluppo e il mantenimento delle professioni sul mercato.
È evidente, infatti, che strutturare vere e proprie manovre assistenziali per far fronte a un contesto emergenziale con sviluppi repentini e di fortissimo impatto, riuscendo a soddisfare nell’immediato tutte le esigenze registrate su più fronti, rappresenta un esercizio di responsabilità complesso, che può essere praticato al meglio se esso è condotto da una regia unica ed è comunicato con un’unica voce, come del resto invoca l’approccio della comunicazione integrata.
Attraverso il quadro generale degli interventi governativi emanati progressivamente nel corso del 2020, è possibile ricostruire quanto riconosciuto ai professionisti sotto forma di indennizzi e detassazioni. Una serie storica di breve periodo (cfr. Grafico 1) che si è sostanziata nel 2020 in interventi che hanno agito sulla liquidità dei professionisti (nel caso delle c.d. indennità) e nella sospensione di elementi di fiscalizzazione (come i provvedimenti di detassazione assunti).

SERIE STORICA DECRETI E PROVVEDIMENTI A FAVORE DEI PROFESSIONISTI NEL 2020

Grafico 1: Serie storica Decreti e provvedimenti a favore dei professionisti nel 2020 Rielaborazione da fonti varie

Interventi che si inscrivono ancora in quella logica di Welfare State che negli ultimi venticinque anni si è arenata su diverse problematiche: dalla sostenibilità finanziaria alla standardizzazione dell’erogazione dei servizi.
Il leitmotiv che ormai accompagna non solo le dichiarazioni governative, ma anche le iniziative di marketing di grandi aziende, è che con il Covid-19 e l’annessa incertezza socioeconomica saranno richiesti sforzi da tutti gli attori della società civile secondo un frame interpretativo condiviso. Quest’ultimo porrà gli attori davanti a due specifici quesiti. Il primo: è ancora possibile ritenere il welfare un complesso di politiche per la creazione di uno “Stato del benessere” secondo gli obiettivi teorizzati nella letteratura sociologica (Briggs, 1961)? Il secondo: è necessario innovare e rifondare i modelli di intervento e la definizione stessa di qualità delle prestazioni, come anticipato vent’anni fa dal Censis, compiendo la transizione dal “welfare state” al “welfare society” o civile come denominato dalla letteratura nazionale?
Welfare society: verso la creazione di un terzo polo “civile”?
Tra i contributi accademici più recenti sul tema, si rintraccia L’evoluzione dell’idea di Welfare: verso il Welfare civile di Stefano Zamagni (2016). Secondo l’autore, il welfare society o civile, si inquadra in quattro principi fondativi: l’universalismo delle prestazioni; la centralità della persona; il bene comune, la sussidiarietà circolare (cfr. Grafico 2).

I QUATTRO PRINCIPI FONDATIVI IL WELFARE SOCIETY

 

Grafico 2: I quattro principi fondativi il Welfare society Rielaborazione da S. Zamagni (2016)

Il quarto principio, della sussidiarietà circolare, secondo Zamagni è il punto d’arrivo di un’evoluzione storica dei servizi di welfare sviluppatasi in tre fasi (cfr. Grafico 3): la Old Public Administration dagli anni Cinquanta agli Settanta del Secolo scorso; il New Public Management fino agli anni Duemila; e il più recente New Governance Model.

VERSO LA SUSSIDIARIETA’ CIRCOLARE COME PRINCIPIO DI COSTRUZIONE DEI SISTEMI DI WELFARE SOCIETY

Grafico 3: Verso la sussidiarietà circolare come principio di costruzione dei sistemi di welfare society Rielaborazione da S. Zamagni (2016)

“Va sottolineato che mentre il passaggio dal primo al secondo modello non è stato quasi avvertito, essendo avvenuto in modo indolore, il passaggio alla co-produzione sta incontrando invece sacche di resistenza”, sia per ragioni culturali e ideologiche, sia perché l’interazione fra i diversi stakeholder interviene in tutte e quattro le fasi del ciclo di produzione dei servizi di welfare: pianificazione, progettazione, erogazione e valutazione.
Un’interazione circolare che, come sappiamo, si complica ulteriormente per effetto del “nuovo framework scientifico e operazionale (…) che risponde all’etichetta di MICS ovvero Marketing, Information and Communication System” (Giorgino, 2019) dove in maniera sistemica gli ambiti comunicativi, relazionali, strumentali e operazionali si intrecciano. Un’interazione che, assumendo i principi proposti da Zamagni, molto ha a che fare con la realizzazione dell’universalismo delle prestazioni e la capacità di enti, istituzioni e organismi rappresentativi di saper raccogliere e gestire informazioni adeguate alla costruzione di servizi di qualità e rispondenti alle esigenze dei propri fruitori-cittadini, nonché “co-produttori” del sistema prestazionale stesso.
In questo senso pensare al welfare significa anche pensare a uno speciale tipo di bene comune, al pari di acqua, biodiversità, cultura e conoscenza, come commenta Zamagni. Come questo particolare tipo di bene debba essere gestito è questione ancora aperta, forse soggetta per gli anni a venire a prove ed errori, oltre allo stress test a cui il nuovo virus sta costringendo i nostri sistemi.
Si può sostenere che proprio le casse professionali si stiano muovendo in questo senso? Anche attraverso il contributo dell’AdEPP, la risposta a questa domanda sembra essere affermativa. Nel presentare il suo primo Rapporto sul Welfare, l’Associazione ha coniugato il concetto qui esposto secondo un approccio tutt’altro che didascalico, disvelando un metodo programmatico e sostanziale che mira a rendere unitari gli interventi in favore di categorie di professioni tra loro così diverse (cfr. Grafico 4).

IL WELFARE DELLE CASSE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA

Grafico 4: Il Welfare delle Casse di previdenza e assistenza Rielaborazione da Il I Rapporto AdEPP sul welfare con focus sul welfare della crisi e del sostegno alla ripresa (2020)

In una realtà post-moderna, in cui il netto binomio “pubblico e privato” trova sempre più difficoltà ad interpretare e rispondere alle complesse sfaccettature dell’intera area del sociale e dei suoi bisogni, che oscillano anche tra ricerca di autodeterminazione e rappresentanza, la costruzione di un terzo polo “civile” potrebbe divenire elemento e strumento utile nella transizione dal welfare state al welfare society.
Infatti, la “pluri-rappresentanza”, definita da Zamagni come la circostanza in cui “le persone nella società odierna possono scegliere la propria identità come risultato di appartenenze plurime” (Zamagni, 2016), suggerisce la necessità di individuare all’interno del panorama di riferimento dei professionisti tutti quei touch point che possano, anche attraverso un coordinamento di scopo, rappresentare il cosiddetto terzo polo “civile”. In questo senso, per la finalità di protezione sociale propria delle Casse di previdenza e assistenza, esse possono esserne una rappresentazione, poiché intercettano esigenze e bisogni che gli stessi iscritti manifestano per la propria vita lavorativa, oltre che privata, con l’uso degli strumenti e ambienti di comunicazione online e offline che gli Enti sono sempre più chiamati a realizzare e coordinare in modo strategico, trasparente e motivante.