Fran Lebowitz non esisterà più
di Serena Scarpello
Il nome di questo portale non poteva essere più in linea con l’evoluzione di un settore, quello della comunicazione, che si è trovato a far fronte con nuovi format e nuove regole. Peraltro in continua evoluzione.
L’ibrido sarà infatti il futuro di molti ambiti, ma soprattutto della comunicazione, del marketing e dell’informazione. Per esempio, quelli che fino ad un anno fa chiamavamo eventi sono sempre più format simili a trasmissioni televisive. La diffusione dei contenuti non avviene più solo sulla carta ma anche sul digitale, anzi viene immaginata anzitutto in chiave digitale. Le piattaforme social giocano un ruolo fondamentale rispetto ad ogni scelta strategica, politica o aziendale che sia.
Guardiamo al dibattito che è scaturito dopo l’attacco a Capitol Hill: l’inaccettabile sfida alla democrazia ha messo tutti d’accordo con una condanna quasi unanime degli episodi di violenza. Non altrettanto è accaduto con la decisione di Twitter di cancellare l’account di Donald Trump.
Sui media si è parlato di diaspora, di metamorfosi dei social, di precedente pericoloso, come dimostrano gli articoli pubblicati proprio su MICS. In realtà, si sono semplicemente riaperte questioni irrisolte da tempo, ma che tutto ad un tratto ci siamo resi conto essere non più rinviabili. Alcune domande. Fino a dove può arrivare il potere decisionale di un’azienda privata? E dove si deve fermare la libertà di espressione, specie quando non si è semplici utenti, ma si rappresentano Stati interi? Forse la verità sta a metà, risiede tra libertà assoluta e la regolamentazione e l’autoregolamentazione. Il tutto, partendo dal presupposto che i politici continueranno ad essere presenti in quei luoghi dove ci sono persone da incontrare, da persuadere, da emozionare e da ingaggiare. E quindi sui social, prima che nelle piazze. Ora più che mai.
La pandemia ci induce a non sorvolare più su certe questioni. Una di queste è il ruolo stesso del digitale in tutti gli aspetti dalla nostra vita, all’interno di quella zona di confine esistente tra l’online e l’offline. Il mondo on demand non potrà prescindere dalla bellezza e dall’autenticità dello scambio dal vivo, della creatività che nasce dalla casualità, dall’incontro fisico per discutere nuove idee. Al tempo stesso i giornali non potranno più essere pensati senza i contenuti video e podcast, le fiere dei libri senza una quota di eventi virtuali, la formazione senza Zoom e le altre piattaforme con le quali fare distance learning. Forse dovremmo diventare un po’ meno scettici anche nei confronti degli influencer, che in fondo avevano capito molte cose prima di noi.
II mix delle competenze non è più uno slogan, ma una scelta necessaria per tutti. Ogni professionista si è ritrovato a dover fare i conti con quanto forse aveva procrastinato da tempo. E il sistema stesso si è dimostrato non proprio all’altezza dei tempi che stiamo vivendo: pensate alla dad e ai problemi di connessione in molte parti di Italia. Costretti nelle nostre stanze, dunque abbiamo finalmente capito il vero significato della parola “rete”.
Nel nuovo documentario di Netflix “Pretend it’s a city”, in cui Martin Scorsese intervista (per la seconda volta) la scrittrice umorista newyorkese Fran Lebowitz, lei ammette di non avere né smartphone, né pc. Eh già, perché utilizza solo un telefono fisso per comunicare e una penna a sfera per scrivere. Dopo una fragorosa risata di Scorsese (varrebbe la pena guardare la serie solo per sentire lui che se la ride) la protagonista racconta che quando vide per la prima volta un pc a casa di un’amica mai avrebbe pensato che quello sarebbe diventato lo strumento fondamentale che è oggi. Del resto, negli anni in cui la Lebowitz divenne una grande scrittrice, conosciuta in tutto il mondo per il suo primo bellissimo romanzo “Metropolitan Life” (pubblicato nel 1978 e comprato per 150.000 dollari da un grosso editore), bastava scrivere una volta su “Newsweek” o su “Interview” (la rivista fondata da Andy Wharol alla fine degli anni ’60) per far parlare di sé a lungo, per lasciare un segno indelebile nel dibattito culturale e per sentirsi parte attiva di una rivoluzione intellettuale. Poi le cose sono cambiate. Non è un caso che quando qualcuno le chiede se i bambini che utilizzano l’i-pad a tre anni subiranno delle conseguenze in futuro nel loro modo di relazionarsi, lei risponde con una battuta fulminante: “sì, ma non è detto che per questo non saranno migliori di noi”.
Ed è proprio questo il punto. Occorre non demonizzare il nuovo, immaginando che solo perché tale sia peggio del vecchio. E, viceversa, occorre anche non entusiasmarsi davanti al nuovo per il solo fatto che esso sia capace di superare ciò che è vecchio. Quando una scrittrice come Fran Lebowitz non ci sarà più, continueremo a misurarci solo con i nativi digitali, che molto probabilmente avvertiranno la necessità di bilanciare la vita reale con quella virtuale.
Quella che per molti di noi era la Second Life, per loro sarà l’unica vita immaginabile. E’ per questo che dobbiamo imparare a guidare -e non più a inseguire- un mondo della comunicazione che ha dimostrato di avere infinite possibilità di concretizzazione.