Gender Equality Strategy 2020-2025 ad un anno dalla pandemia

di Federica Gargano

Nel marzo del 2020 la Commissione Europea presentava al Parlamento, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo ed al Comitato delle Regioni, la Gender Equality Strategy 2020-2025, un piano strategico quinquennale promosso dal Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Nella fattispecie, la strategia mirava e mira alla promozione e alla realizzazione di un’Unione Europea più inclusiva e libera da ogni stereotipo basato sulla differenza di genere.

Nella comunicazione ufficiale viene messo in rilievo un elemento particolarmente importante, ovvero il perdurare di un disequilibrio di genere nella società contemporanea. In virtù di tale consapevolezza, si è resa necessaria l’adozione di un piano strategico volto a cambiare alcuni stereotipi, ancora tristemente diffusi, per tendere alla divulgazione di una narrazione del tutto nuova, finalizzata all’affermazione del principio di uguaglianza sostanziale.

Il raggiungimento della parità di genere è stato individuato, pertanto, come obiettivo strategico da raggiungere entro il 2025, attraverso un approccio multidisciplinare, trasversale e intersezionale a livello europeo. Le materie oggetto di analisi sono state concentrate intorno a questioni che necessitano di una revisione e di un più vasto intervento: eliminazione della violenza di genere, economia basata sulla parità di genere, inclusione femminile all’interno dei processi decisionali e nei ruoli di leadership in ambito politico e manageriale, impiego di un maggiore equilibrio di genere nei processi che riguardano le politiche di transizione ed, infine, esportazione ed esternalizzazione dell’emancipazione femminile nel mondo.

Dalla varietà delle questioni prese in esame, si evince la necessità di ricorrere a misure concrete ed effettive per raggiungere quell’equilibrio ancora mancante ma a cui si ambisce, senza dubbio alcuno. Nonostante l’Unione Europea e molti dei suoi Stati membri si siano mostrati attori notevolmente coinvolti nell’attuazione di pari condizioni sociali ed economiche, ulteriori interventi sono ancora necessari per raggiungere questo obiettivo nella sua interezza.

Sul piano della lotta contro le violenze di genere, durante la pandemia si è assistito ad un crescente numero di casi di violenza domestica, incentivati dai lunghi mesi di confinamento delle persone all’interno delle

abitazioni a causa del lockdown. Questa situazione ha sollevato parecchie preoccupazioni come quelle relative alla scarsa protezione e sicurezza fornita alle donne, intese come soggetti vulnerabili, in considerazione di tali circostanze. A tal proposito, si è fatto leva sull’importanza della Convenzione di Istanbul del 2011, quale fondamentale strumento giuridico internazionale atto a contrastare il compimento di crimini perpetrati sulla base di motivi di genere: nello specifico reati di violenza sessuale e domestica. La ratifica alla suddetta Convenzione è chiaramente un fattore determinante per l’Unione, perché quest’ultima potrebbe garantire uniformità normativa a livello regionale contro la perpetrazione di reati di questo tipo.

Per quanto riguarda, invece, l’economia e il mondo del lavoro, il divario occupazionale fra donne e uomini segna importanti differenze, che devono essere colmate. Secondo quanto riportato dai dati di Eurostat, nel 2019 il tasso di occupazione per gli uomini, nella fascia di età compresa fra i 20 e i 64 anni, è stato pari al 79%, mentre quello delle donne è stato registrato intorno al 67.3%. In aggiunta, in merito a quanto emerso dalle ricerche condotte dall’European Institute for Gender Equality, EIGE, la percentuale relativa al reinserimento nel mondo del lavoro per uomini e donne, nel periodo post lockdown di marzo 2020, ha segnato un’ulteriore disparità, con un tasso di occupazione pari all’1.4% per gli uomini e lo 0.8% per le donne.

Questo divario nel tasso di ripresa occupazionale va ricercato, quindi, nella più alta probabilità per le donne di ridurre le ore lavorative, a causa del maggiore coinvolgimento nell’assistenza familiare durante la crisi pandemica. I numeri fanno indubbiamente riflettere sull’importanza di un bilanciamento delle responsabilità da condividere per quanto riguarda i doveri familiari e domestici. A questo proposito, la Direttiva UE 2019/1158, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori rappresenta uno strumento chiave sul quale la Commissione spinge affinché gli Stati membri si conformino adeguatamente.

Un cambio di prospettiva e politiche più equiparate sono certamente le soluzioni più adatte a facilitare un’adeguata ripresa economica e lavorativa ed è ciò a cui l’UE punta nel suo piano quinquennale. Recentemente, infatti, la Commissione ha avanzato una proposta al Parlamento e al Consiglio, in cui si chiede di rafforzare il principio ‘‘equal pay for equal work,’’ sottolineando la rilevanza dell’implementazione di misure vincolanti per gli Stati membri per garantire trasparenza e uguaglianza nei pagamenti salariali per entrambi i sessi.

La questione relativa, invece, ad una più concreta partecipazione femminile nei processi di decision making ricopre una posizione significativa all’interno dell’agenda europea. Ciò che l’esperienza dell’attuale pandemia ci sta insegnando, infatti, è l’imprevedibilità delle crisi. Per questo occorrono risposte che siano diversificate a seconda delle problematiche da affrontare.

Una maggiore inclusione femminile nei ruoli di leadership e, quindi, un’equa partecipazione nei processi decisionali devono essere considerate risorse preziose, poiché sono in grado di garantire migliori prestazioni in termini di governance. Attitudini e approcci diversi ma, pur sempre, funzionali diventano, infatti, elementi sempre più richiesti in quei procedimenti, in cui sono necessarie visioni e soluzioni diversificate rispetto alle medesime complessità. In aggiunta, nel piano strategico è stato evidenziato come ‘‘le pari opportunità nella partecipazione siano essenziali per la democrazia rappresentativa a tutti i livelli: europeo, nazionale, regionale e locale.’’ In ragione di ciò, infatti, l’UE si sta attivando anche per supportare una più attiva partecipazione delle donne, in qualità di candidate, alle elezioni parlamentari europee del 2024.

Per quanto riguarda le politiche di transizione, nello specifico quelle relative ad un’economia ‘‘green,’’ alla crisi climatica e ai processi di digitalizzazione legati al mondo del lavoro, si sta cercando di dare spazio ad un’uguaglianza di genere, sia formale sia sostanziale, nella predisposizione e nel perfezionamento di quest’ultime. Una più tangibile attenzione alle diverse esigenze e alle possibili conseguenze di determinate scelte politiche aiuta ad orientare in maniera più produttiva i processi decisionali legati alle citate questioni, garantendo eque possibilità di crescita e miglioramenti nelle condizioni di vita.

Si può concludere che il coinvolgimento dell’UE nel perseguire l’uguaglianza di genere nei diversi ambiti sia ammirevole, così come il piano strategico messo in atto. Tuttavia, affinché una diversa narrazione politica, economica e sociale in termini di uguaglianza di genere diventi realtà, è necessario partire da un approccio bottom-up. Investire sull’educazione, sulla comunicazione e sulle campagne sociali a favore della parità di genere per demolire le barriere culturali e gli stereotipi: è questo il primo grande passo verso un cambio di rotta effettivo, che parta dal ‘‘basso’’ ma che sia diretto alla realizzazione di un obiettivo di primo ordine, il quale produrrà benefici immediati e uno sviluppo sostenibile per le attuali generazioni e, soprattutto, per quelle future.