Giovani, lavoro e formazione. Il governo Draghi alla prova del Recovery Plan

di Luciano Monti

 

Mario Draghi e la “giustizia intergenerazionale”

Lo scorso 3 febbraio, in meno di due minuti e mezzo di dichiarazioni alla stampa in cui diceva di accettare l’incarico attribuitogli dal Presidente della Repubblica per formare un nuovo Governo, Mario Draghi ha fatto un riferimento alle “risorse straordinarie” del programma europeo Next Generation Eu, aggiungendo subito dopo: “Abbiamo l’occasione di fare molto per il nostro Paese, con uno sguardo attento al futuro delle giovani generazioni”. Si tratta dell’ennesima conferma di un’attenzione che l’ex banchiere centrale ha sempre dedicato al tema dei giovani e dell’importanza del loro capitale umano per una società che abbia per obiettivo lo sviluppo, non solo economico. “Quale Paese lasceremo ai nostri figli?”, si chiese Draghi nel 2011, nel discorso di commiato da Governatore della Banca d’Italia. Domanda sacrosanta, che di fatto trasforma la “giustizia intergenerazionale” in un criterio sulla base del quale valutare l’operato dei governi. Domanda che oggi potrebbe essere riformulata alla luce della più importante novità di politica economica europea intervenuta negli ultimi mesi, cioè il programma Next Generation Eu: “Quale Paese lasceremo ai nostri figli – ecco il quesito ‘aggiornato’ – una volta che saranno state spese le risorse straordinarie dell’Unione europea in base al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)?”.

 

I giovani italiani e le eredità dei precedenti governi

Per rispondere in modo esaustivo, e dunque compiere una valutazione preliminare dell’operato dell’attuale esecutivo, occorre innanzitutto ribadire che gran parte delle risorse europee sarà comunque ottenuta “a debito”, appesantendo un fardello debitorio non indifferente che già grava sulle spalle delle future generazioni. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale, il debito pubblico dell’Italia è salito dal 134,6% del Pil nel 2019 al 157,5% del 2020. Quest’anno crescerà ancora arrivando a toccare il 159,7%, facendo anche peggio delle stime dello scorso ottobre dello stesso Fmi.

Detto ciò, va inoltre notato che la bozza del Piano italiano di Ripresa e Resilienza (PNRR), varata il 12 gennaio 2021 dal Governo Conte II, non teneva in dovuta considerazione l’obiettivo delle politiche giovanili. Tale bozza è stata elaborata prima della pubblicazione della versione aggiornata delle linee guida predisposte da Bruxelles il successivo 22 gennaio e prima dell’approvazione del Regolamento (UE) 2021/241 del 12 febbraio 2021 che ha disciplinato il nuovo dispositivo di Ripresa e Resilienza. Il piano varato dal precedente governo non prevedeva un pilastro riservato ai giovani, limitandosi a riservare a questi ultimi una non meglio definita “priorità orizzontale”. Eppure recentemente anche l’europarlamentare italiana Irene Tinagli, membro del team negoziale del Parlamento di Bruxelles nelle trattative con le altre istituzioni, ha sottolineato pubblicamente: “Qual è la battaglia che il Parlamento europeo ha fatto con più forza? Sicuramente quella di aggiungere il pilastro riguardante i giovani che, nella proposta originaria di Next Generation Eu, non c’era. Al Consiglio di fatto abbiamo detto: ‘Non potete proporci un piano che si chiama Next Generation Eu e le cui risorse per il 90% sono impegnate in uno strumento che quasi nemmeno cita i giovani’”. Dunque il già menzionato Regolamento europeo, recependo un emendamento fortemente voluto dal Parlamento europeo, accanto a transizione verde, trasformazione digitale, crescita sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, resilienza, sanità, ha introdotto il pilastro “politiche per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani, come l’istruzione e le competenze”. Anche solo per questo motivo, il PNRR italiano dovrebbe essere oggetto di una importante

rimodulazione – rispetto alla bozza stilata dal precedente esecutivo – per adeguarsi alle indicazioni europee più aggiornate, oltre che all’interesse delle future generazioni. Diversamente il successo ottenuto dai nostri parlamentari europei sarebbe stato vano.

 

Politiche giovanili, dalle parole alle risorse finanziarie

Per valutare la concretezza di un eventuale e auspicabile cambio di rotta del Governo Draghi su Next Generation Eu e in particolare sulle politiche giovanili, al di là delle promesse retoriche e di una necessaria riformulazione contenutistica del PNRR, sarà bene guardare alle voci di spesa associate a ogni capitolo del PNRR. A che punto siamo oggi?

Da alcune stime elaborate dall’Osservatorio sulle Politiche giovanili (www.osservatoriopolitichegiovanili.it/) curato dalla  Fondazione Bruno Visentini, emerge che le risorse dedicate ai giovani all’interno della bozza del PNRR del precedente esecutivo siano pari a 16,31 miliardi di euro, di cui 15,52 miliardi a valere sul Recovery and Resilience Plan e 0,79 miliardi sul fondo REACT-EU, individuate in specifici interventi presenti: nella missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”, nella missione 4 “Istruzione  e ricerca” e nella missione 5 “Inclusione e coesione”.

L‘incidenza di tali risorse sulla dotazione complessiva di Next Generation EU – prevista nella bozza PNRR di gennaio a 223,91 miliardi di euro, non tenendo conto della recente correzione al ribasso dall’attuale ministro dell’Economia, Daniele Franco – è pari al 7,28%. In queste risorse, a saldi complessivi invariati, la Proposta del Consiglio Nazionale Giovani (organo consultivo cui è demandata la rappresentanza dei giovani nella interlocuzione con le Istituzioni per ogni confronto sulle politiche che riguardano il mondo giovanile, istituito con la legge n. 145/2018) è di includere anche quote di impegno stimate, per interventi specifici da destinare ai giovani, pari a 12,41 miliardi, rilevabili nelle missioni 1, 4, 5 e 6 “Salute”. Così le risorse di Next Generation Eu da destinare ai giovani raggiungerebbero così 28,72 miliardi di euro (con un’incidenza complessiva del Pilastro Giovani che salirebbe al 12,83%).

Se questi sono gli ordini di grandezza, come figura l’Italia in una eventuale classifica europea degli stanziamenti di risorse di Next Generation EU a favore delle future generazioni? La risposta può essere sintetizzata nel grafico che segue.

 


Figura 1. Incidenza (%) degli interventi per i giovani sulle risorse totali programmate dai PNRR (per l’Italia viene indicata l’incidenza attuale e quella che tiene conto della proposta CNG)

 

Sulla base dell’attuale bozza di PNRR, dunque, l’Italia scivolerebbe dietro la Germania – per incidenza percentuale delle risorse dedicate ai giovani sul totale di quelle ricevute dall’Ue – nonostante nel Paese-locomotiva d’Europa la situazione giovanile sia ben più rosea che da noi. Ipotizzando invece che il governo faccia propria la proposta del Consiglio Nazionale Giovani, l’Italia tornerebbe in linea con la Spagna, Paese che condivide con il nostro un alto tasso di disoccupazione giovanile e una significativa presenza di Neet (giovani che non studiano né lavorano).

Per compiere una valutazione maggiormente ponderata e realistica dell’efficacia del PNRR, si possono inoltre mettere in relazione le risorse stanziate da una parte e la condizione giovanile nei vari Paesi dall’altra. Come si può vedere nella figura 2, i Paesi virtuosi (come la Germania) si posizionano nel quadrante II in altro a sinistra (risorse proporzionate al basso tasso di disoccupazione giovanile), mentre nel quadrante IV (risorse non proporzionate al tasso di disoccupazione giovanile) si collocano i Paesi meno virtuosi (Italia e Grecia). Adottando la proposta del Consiglio Nazionale Giovani, invece, il nostro Paese andrebbe a posizionarsi nel quadrante I con la Spagna (paesi virtuosi con risorse proporzionate all’alto tasso di disoccupazione giovanile).

 

Figura 2. Risorse destinate ai giovani nel PNRR in base al tasso di disoccupazione 15-34 anni

Ecco un criterio chiaro, e quantitativamente verificabile, a partire dal quale esprimere un giudizio su efficacia e lungimiranza del Governo Draghi nella riformulazione e poi nell’attuazione del PNRR nelle prossime settimane.

 

Approfondimento – I numeri della questione generazionale in Italia

Gli squilibri tra generazioni in Italia sono macroscopici. Di seguito, alcuni dati di sintesi.

  1. Il sistema educativo italiano non riesce a trattenere molti dei giovani studenti per svilupparne le conoscenze: nella fascia 18-24 anni, un buon 13,5% di loro non ha completato il ciclo di istruzione secondaria superiore.
  2. Per quel che riguarda la formazione universitaria, il 40% degli Europei di età compresa tra i 30 e i 34 anni è laureato, un valore che invece scende sotto il 35% in tutte le Regioni italiane (dato Eurostat)
  3. Lo stesso sistema educativo non riesce nemmeno, in molti casi, a fornire le competenze richieste nel mercato del lavoro da enti e imprese (il cosiddetto mismatch), né quindi a garantire un’occupazione ai nostri laureati: nell’Unione europea l’81,6% degli under 35 con un diploma o una laurea ha un lavoro; tre Regioni italiane occupano gli ultimi posti in questa classifica di Eurostat, in Sicilia addirittura solo il 27,3% degli under 35 con diploma o laurea è occupato.
  4. I NEET (acronimo che sta per Neither in Employment or in Education or Training) nel 2019 – secondo l’Istat – si attestavano a 2 milioni, tutti under 30, e nel terzo trimestre del 2020 sono già aumentati di più di 100 mila unità. Se si considerano poi anche gli under 35, il dato supera le 3 milioni di unità.
  5. Il tasso di disoccupazione in Italia degli under-25 è passato dal 26,6% dell’agosto 2019 al 29,7% del dicembre 2020. Tre punti percentuali di differenza. E, si badi bene, dobbiamo considerare che ancora vige il cosiddetto blocco dei licenziament
  6. Per quanto riguarda il reddito, secondo l’Indagine straordinaria sulle famiglie italiane effettuata da Banca d’Italia lo scorso anno, fra i 18-34enni intervistati, il 60% dichiarava una diminuzione consistente del proprio reddito. Il 21,2% di questi sosteneva di aver perso più del 50% del proprio reddito mensile.
  7. L’indice del Divario generazionale, calcolato dalla Fondazione Bruno Visentini, non è ancora tornato ai livelli che precedevano la crisi economico-finanziaria del 2008. Monitorando 13 domini e 36 indicatori, l’Indice in questione misura quanto sono grandi gli ostacoli allo sviluppo personale dei giovani. Per esempio, tenta di quantificare la difficoltà con cui i giovani riescono a varcare tre “porte” simboliche: quella della casa dei genitori, lasciata sempre più tardi; quella di un posto di lavoro che garantisca un’occupazione con qualche sicurezza; quella di un ospedale in cui mettere al mondo un figlio o una figlia. Facendo 100 il valore dell’Indice del Divario Generazionale nel 2004, il suo valore è schizzato a 134 all’indomani della lunga crisi economica iniziata lo scorso decennio, ora staziona a quota 127 (dato 2019, dunque pre Covid-19) ma il rischio è che da qui si registrerà un’altra impennata.
  8. Una situazione a tinte fosche per i giovani italiani, che tra l’altro con ogni probabilità peggiorerà ancora per colpa della pandemia le cui conseguenze economiche hanno investito in maniera più violenta tipi di contratti di lavoro e settori economici in cui proprio i giovani sono numericamente più presenti.