Il calcio nel lessico politico. Dalla discesa in campo al calcetto di Draghi

di Domenico Bonaventura

Il lessico politico come un enorme contenitore e attrattore di parole provenienti da singoli ambiti. Potremmo definirlo in questo modo, trattandosi sempre più di una lingua che si rivolge non più o non solo ai “millecinquecento lettori” (Forcella, 1959), bensì a una platea sempre maggiore.

I processi di ibridazione della politica e dell’intrattenimento hanno fatto la loro parte. Il politainment ha “alleggerito” i discorsi, che oggi presentano poche affinità con quelli di alcuni decenni fa. Naturalmente, ciò si deve all’ampliamento dei canali e dei metodi di diffusione e all’abitudine, conseguente e sempre più radicata, di attingere ad ambiti diversi da quello giuridico-amministrativo-burocratico, tradizionalmente utilizzato per confezionare un messaggio politico.

Accanto a quello culinario, a quello storico e a quello religioso, l’ambito più saccheggiato è senza dubbio quello sportivo. Calcistico, in particolare (e forse lo sarà ancora di più dopo l’annuncio della costituzione della Superlega europea).

In principio fu la «discesa in campo». È il 26 gennaio 1994, e dal suo studio di Arcore – almeno così volle la leggenda: in realtà il set fu ricavato nel giardino della villa di Macherio – Silvio Berlusconi annunciò il suo ingresso nell’agone politico.

L’Italia arrivava da una stagione convulsa e travagliata, che ha ridisegnato il quadro partitico quasi in un’ottica di contrapposizione di sistema. Berlusconi scelse da subito di parlare in un modo che potesse avvicinarlo al maggior numero possibile di cittadini. Dunque, optò senza esitazione per lo schema del doppio binario: io di qua, il mio nemico di fronte. E già questo è un rimando esplicito al gioco del calcio. Non va dimenticato che egli proveniva da otto anni di presidenza del Milan e che la squadra all’epoca continuava a mietere successi in Italia e in Europa. Perciò, gli italiani, grandissimi “pallonari”, associarono la sua figura alle vittorie in campo calcistico, oltre che naturalmente ai successi imprenditoriali. Si aggiunga il (non trascurabile) elemento di aver scelto come nome del partito un’esclamazione da stadio. «Per uscire dai confini rossoneri egli scelse azzurri per indicare candidati e sostenitori di Forza Italia» (Severgnini, 2010). «»

Tutto questo potrebbe essere visto, dunque, come un processo di ribranding di se stesso. La sua sfida, in effetti, fu proprio quella di trasferire all’ambito politico la figura del personaggio vincente nell’ambito aziendale e nel rettangolo di gioco. «Elementi del discorso pubblico canalizzati con sapiente regia comunicativa dentro i perimetri e i parametri di una narrazione individuale che, attraversando i territori dell’imprenditoria, della televisione, del costume, dello sport e soprattutto della politica, ha trasformato le imprese di un singolo soggetto in una vera e propria ideologia» (Giorgino, 2020).

Ascoltando i nove minuti del videomessaggio, si riscontrano infatti alcuni punti cardine che saranno poi gli stessi del Marketing politico e che segneranno la vita politica da quel momento in poi.

La personalizzazione, attraverso una narrazione che ripercorre fasi della propria vita pubblica e privata e della propria attività. L’innesco di un processo mentale che conduce inevitabilmente alla fusione tra proposta politica e passato personale (qui pare che ci avviciniamo molto a una forma iniziale di neuromarketing). La proposta di sé – e non più del partito – come soggetto risolutore dei problemi. L’indicazione esplicita dell’avversario (la sinistra ritenuta comunista nel modo di intendere la politica), che ricompatta automaticamente il fronte. Tutto accompagnato da un linguaggio semplice, comprensibile ai più. Un’operazione di «macrotargeting», opposta per

dimensioni a quella di «microtargeting», utilizzata negli anni successivi e che consiste nell’utilizzo di piccoli messaggi mirati per colpire determinati segmenti di pubblico (Cacciotto, 2019).

Come detto, il frequente utilizzo del lessico calcistico, specie in forma di metafora, è il modo migliore per arrivare a una platea più ampia. Il Cavaliere utilizza questa mossa per sparigliare le carte e portare il dibattito dal politichese a un linguaggio più comprensibile. Un modo per attirare automaticamente l’attenzione di un maggior numero di cittadini. Per Giorgino (2020) questi fattori potrebbero essere visti o interpretati quasi come «i prodromi di quella tendenza alla disintermediazione che si manifesterà più avanti come vero e proprio manifesto programmatico».

Da quel momento in poi, l’ambito calcistico è sdoganato e diventa la «cantera» del lessico politico in generale. Ventisette anni dopo, basta leggere un articolo scritto da Francesco Verderami sul Corriere della Sera del 17 aprile scorso, per rendersi conto di quanto, da un lato, sia utilizzato dai giornalisti e, dall’altro, sia dunque gradito dai lettori. Il titolo è «Il contropiede del premier che chiude la partita col ministro della Salute». Per restare alle prime cinque righe, si leggono tantissimi termini di questo tipo: «il calcetto del premier», «è Draghi a segnare la rete decisiva», «la tattica del catenaccio».

Un pezzo che è probabilmente un unicum, essendo un condensato ad altissima densità di lemmi provenienti dal vocabolario calcistico e utilizzati come metafore nell’ambito di scritti politici. Naturalmente, non tutti gli articoli presentano questa caratteristica e non tutti sono comparabili a quello citato, completamente improntato sulla cifra calcistica del lessico utilizzato. Ma è fuor di dubbio che il giornalismo di oggi ne faccia larghissimo uso. Maggiore vicinanza al lettore e maggiore probabilità, da parte di quest’ultimo, di arrivare in fondo al pezzo.

È sufficiente fare mente locale per trovare decine di termini di ambito calcistico (ma non solo) divenuti di uso comune in politica. Dalla «entrata a gamba tesa» alle «azioni messe in campo», dalla «squadra di governo» alla «campagna acquisti», fino al «pressing». Nei periodi di formazione di un esecutivo, la stampa si diverte a immaginare più o meno veritiere composizioni governative. È il cosiddetto «toto-ministri», termine divenuto di uso talmente comune che a metà novembre del 2011, alla caduta del governo Berlusconi e prima della nascita di quello tecnico guidato da Mario Monti, persino la Presidenza della Repubblica, in una nota, precisò che «il Quirinale non partecipa in alcun modo a qualsivoglia toto-ministri».

Eppure, gli ambiti a cui la politica attinge per i propri messaggi sono anche altri. Si pensi a quello religioso. Nel suo «La pancia degli italiani» (2009), Beppe Severgnini dedica un capitolo intero a questo aspetto, sempre riferendosi a Berlusconi, definito «uomo della Provvidenza», «Gesù Cristo che si sacrifica per tutti». Vengono ripresi – e si utilizzano ancora oggi con una certa costanza – metafore quali «miracolo italiano» o «credo politico».

La politica e il suo lessico sono un contenitore da riempire con lemmi e detti alla bisogna, da qualsiasi parte provengano. Meglio se dal calcio, il miglior anello di congiunzione con la gente. Tutto il resto è Superlega. Un progetto abortito sul nascere.