Il click day di Inps. Come l’utilizzo improprio di una parola può determinare effetti negativi
di Lara Chirico e Fabiana Idini
Il cosiddetto “Click day” dell’INPS è stato uno degli argomenti più caldi del primo lockdown. L’INPS, identificata dal Governo Conte come la principale agenzia erogatrice dei fondi a favore degli italiani più in difficoltà, ha dovuto far fronte ad una situazione emergenziale. Il cosiddetto decreto “Cura Italia” (decreto legge n. 18 del 17/03/2020 convertito in Legge n. 27/2020) ha previsto tra le quattordici tipologie di nuove prestazioni un’indennità “una tantum” di 600 euro per il mese di marzo 2020 in favore di quelle categorie di lavoratori che ne avessero fatto richiesta attraverso una domanda presentata per il tramite del portale proprio dell’INPS. Ciò, a far data dal primo aprile. Data identificata come riferimento temporale del databreach e del down delle procedure on line collegate alle domande di indennità sulla base di una comunicazione dettata da ragioni di urgenza e proprio per questo (o soprattutto per questo) inesatta. Prima di entrare nel merito di questa decisione e dei suoi effetti, diretti e indiretti, a breve e medio termine, occorre chiarire quale fosse la platea dei destinatari. Si tratta di professionisti e lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, di lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali Inps, di lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti balneari, di lavoratori del settore agricolo e dello spettacolo.
L’incertezza comunicativa è stata generata da una concomitanza di fattori, non ultimo il forte rischio che, in virtù dello stanziamento previsto dal testo di legge, l’utenza interpretasse l’apertura del servizio come un vero e proprio click day, che come è noto ha delle tecniche di ingaggio ed un tempo congruo di predisposizione.
Già il 20 marzo 2020 era stato specificato, non solo dall’Istituto sui suoi canali ufficiali, ma anche da numerose testate giornalistiche, che non esisteva un solo giorno prestabilito nel quale tutte le domande dovessero essere presentate necessariamente. “Si precisa che non c’è nessun click day, inteso come finestra dentro la quale si possano fare domande di prestazioni. Le domande saranno aperte a tutti e ci sarà un giorno di inizio, con un click”: così l’Istituto rassicurava gli utenti che i fondi messi a disposizione del Governo sarebbero stati erogati a tutti coloro che ne avessero fatto richiesta, sempre successivamente alla verifica dei requisiti obbligatori.
L’accesso al sito internet dell’INPS, il 1 aprile, nonostante le rassicurazioni della vigilia, non ha funzionato ed ogni utente loggato è stato identificato con informazioni relative ad altri utenti. Tutti i canali social sono stati immediatamente inondati da commenti negativi. Si è passati da battute su un predeterminato pesce d’aprile all’offerta da parte di Porn Hub di utilizzare il proprio server perché considerato più affidabile.
L’INPS aveva previsto che il 1 aprile sarebbe stato un giorno “caldo” sul piano informatico e per fronteggiare una mole di domande superiori al normale aveva deciso di fare ricorso a un servizio CDN (Content Delivery Network) e aveva richiesto il supporto di Microsoft. E questo al fine di elaborare soluzioni tecnologiche che potessero aiutare a migliorare le prestazioni del servizio in caso di carichi di lavoro eccezionali. Era anche stata contattata la società Leonardo per il supporto nell’ambito dell’accordo quadro Consip di system management. La soluzione individuata del Content Delivery Network (CDN), con l’utilizzo dei servizi Cloud Azure e della tecnologia Akamai leader del mercato, di fatto, però, non ha funzionato.
In questa situazione del tutto nuova ed imprevedibile, di fronte ad un’utenza delusa al punto di temere che l’insoddisfazione potesse trasformarsi in aggressione, l’Istituto ha deciso di compensare il default informatico con una strategia comunicativa d’emergenza che facesse ricorso all’utilizzo dei social media come prevalente, se non esclusivo, canale di contatto e di interlocuzione con l’utenza. La capacità di risposta messa in campo in quelle ore ha permesso di contenere la crisi reputazionale dell’Istituto, fornendo ai cittadini dapprima ascolto e poi assistenza. Con questa scelta comunicativa la crisi è stata gradualmente trasformata in opportunità di confronto e di conoscenza della funzione di “servizio” dell’Istituto, tanto che numerosi commenti negativi da parte dell’utenza si sono trasformati persino in apprezzamento.
Analizzando alcuni analytics, il periodo successivo alla débacle del sito può essere diviso in due momenti. Nei primi 15 giorni di aprile del 2020, man mano che il sistema ha ripreso a funzionare, il trend dei commenti è cresciuto enormemente con una tendenza evidente all’apprezzamento. Dal 20 aprile in poi, le criticità sono riemerse in maniera piuttosto forte, a causa delle cosiddette “domande inesitate e non pagate”. In questa seconda fase, la strategia adottata dall’Istituto per contenere la rabbia montante ed evitare la generazione di eco chamber negative, dannose per l’immagine di INPS, è stata quella di allungare l’orario di lavoro per le risposte ai cittadini e di decidere di rispondere privatamente quasi ad ognuno. Sono state fornite in questa maniera informazioni puntuali e dettagliate sul caso specifico, superando ciò che di regola fa l’Istituto nel momento in cui usa i social network. Dal 20 aprile sono “comparsi” su tutti i canali social e soprattutto su Twitter ed Instagram numerosi profili fake, cosiddetti troll, che con messaggi reiterati, standardizzati ed aggressivi si muovevano avendo come unico scopo quello di screditare l’Istituto. Questi profili hanno agito chiamando in causa personaggi pubblici per accrescere la visibilità del messaggio costruito intorno alle carenze dei servizi offerti: non pochi sono stati infatti i commenti negativi di leader politici e giornalisti.
Analizzando i canali social, il più utilizzato per manifestare il malcontento, sin dalle prime ore della protesta è stato Twitter. A seguire Instagram e Facebook. La eco del crush del sito è stata incontrollabile, ma la funzione di ascolto fornita attraverso i canali social istituzionali di INPS, soprattutto nei momenti più critici, si è mostrata efficace. La velocità dei social media ha permesso di sopperire ai ritardi della comunicazione istituzionale ed al crollo delle procedure informatiche. L’aspetto umano del dialogo ha avuto una funzione di costruzione della relazione con l’utente, soprattutto in un momento emergenziale connotato dal sovraccarico delle chiamate al contact center e dall’impossibilità di accedere fisicamente agli sportelli di sede.
Soltanto la volontà di dialogo, la determinazione a mettersi nei panni dei cittadini e a muoversi nell’ottica della trasparenza, a partire dalla presa d’atto della delicatezza della situazione venutasi a creare, hanno permesso di arginare il fenomeno dilagante delle fake news. Il rinvio a fonti ufficiali ha generato un circuito virtuoso di informazioni più positive, che ha parzialmente oscurato le criticità emerse fino a quel momento nella gestione delle risorse destinate a fronteggiare la crisi sanitaria, economica e sociale venutasi a creare con la pandemia da Covid-19. Emergenza ancora in corso.