Il Covid e la comunicazione corporate. Alcuni spunti di riflessione
di Leyla Speziali
Sarebbe quasi pleonastico rimarcare ad inizio di questo articolo come la pandemia SARS-CoV-2 sia piombata nella nostra quotidianità stravolgendo stili di vita, atteggiamenti, comportamenti, dinamiche lavorative, relazioni sociali e familiari. Quanto ci abbia obbligato e ci obblighi ad includere pratiche ed abitudini del tutto o in parte estranee alla nostra forma mentis e all’impostazione pregressa, standardizzata e schematizzata, delle nostre giornate: quella che chiamavamo e che chiamiamo “normalità”.
A fare i conti con questi cambiamenti non è stato solo il singolo individuo, quanto tutte le organizzazioni nel complesso delle loro funzioni sociali e delle loro attività di comunicazione. Organizzazioni pubbliche e private che hanno dovuto riconsiderare le priorità ed attuare cambiamenti sostanziali per far fronte alle mutate richieste e aspettative dei propri stakeholder.
Il cambiamento all’interno delle aziende ha coinvolto in primis il linguaggio utilizzato per trasmettere messaggi e poi il modo di rapportarsi ai consumatori, ai fornitori e ai dipendenti. A distanza di oltre un anno dalla “inaspettata intrusione”, il modus operandi risulta sicuramente più fluido, immediato, inclusivo, emozionale, nonché più capace di attivare la sensibilità dei pubblici aziendale in chiave “conversazionale”.
La percezione dei consumatori relativamente alla comunicazione d’impresa (che può essere anche di prodotto, ma non è solo di prodotto) è cambiata profondamente: le esigenze dei consumatori sono del tutto differenti rispetto a quelle dell’era pre-covid.
Non solo si pone maggiore attenzione alla valutazione di costi e benefici, ma si fa in modo che il processo decisionale del cliente si muova all’interno di una cornice in cui la scelta ricade su elementi più generali e di contesto. Elementi sorretti, appunto, dalla ricerca del paradigma conversazionale.
I Brand devono comunicare facendo leva su una narrazione che si serva di una chiave di lettura differente rispetto al passato. Più ampia e coinvolgente. Più lunga e più larga. L’azienda deve raccontare una storia che metta in risalto aspetti diversi da quelli adottati usualmente, puntando al cuore e alla sfera più intima del consumatore, assecondando il principio guida dell’autenticità che può comportare persino vere e proprie esperienze di allontanamento dalla “forma merce” (Giorgino, 2020). Per affrontare la crisi indotta dalla pandemia a più livelli, è stato, è e sarà fondamentale mettere al centro delle strategie comunicative d’impresa aspetti valoriali ed emozionali in grado di puntare al rafforzamento o, in alcuni casi, alla rigenerazione della reputazione aziendale. L’obiettivo principale resta quello di infondere fiducia, in un momento in cui, più che mai, le certezze vacillano e vengono meno quelle coordinate spazio-temporali a cui far riferimento per essere orientati nei meandri della quotidianità.
Attraverso un uso sistematico, programmato e strutturato degli strumenti digitali, dei social network e delle piattaforme di nuova generazione – che sono la categoria spazio-temporale in cui la trasparenza trova il terreno più adatto per attecchire, consolidandosi come modello- le imprese si mettono in condizione di creare rapporti stabili e duraturi, vigorosi ed engaged con i propri clienti, come più volte evidenziato da Kotler e come certificato dal Clutrain Manifesto agli inizi del nuovo millennio.
La sfida più importante è quella di comunicare in maniera tempestiva ed efficace quei contenuti adeguati e coerenti non solo con la mission e la vision aziendale, ma anche con il trasformato contesto in cui ci si ritrova ad operare, cercando – per quanto più possibile – di combattere e limitare la circolazione di fake news, ovvero di informazioni non rispondenti al vero o al verosimile, che minano la credibilità dei contenuti e rischiano di rendere vani tutti gli sforzi dell’azienda di vincolare a sé l’utente/cliente.
A tal proposito, numerosi studi concordano circa il fatto che la crisi dovuta al Covid-19 abbia cambiato in maniera significativa la percezione e il valore attribuito dalla collettività agli esperti in diversi ambiti e, quindi, non solo a quelli del settore medico-sanitario. Avvalersi di chi conosce bene ciò di cui si parla ed affidarsi a veri conoscitori di una materia può essere un valido rimedio contro la paura, che nelle scienze psicologiche- dunque, nelle scienze del comportamento- rappresenta una “dimensione altra” rispetto al panico, ovvero alla paralisi decisionale.
Un rinnovato approccio imperniato sugli aspetti corporate intangibili, inoltre, non può che sortire i suoi effetti anche sulla comunicazione interna, poiché, tra “forzato” smart working – pratica alquanto “sconosciuta” nel nostro Paese fino ad un anno e mezzo fa – ed incertezza sul futuro, i soggetti maggiormente destabilizzati sono stati e continueranno ad essere proprio i dipendenti.
Risulta pertanto necessario rafforzare il senso di appartenenza alla comunità aziendale e la condivisione della corporate culture, attraverso la promozione di attività di employer branding, per esempio facendo ricorso ad uno strumento ampiamente utilizzato quale il brand storytelling ed in particolare l’internal corporate storytelling (Giorgino, Mazzù, 2018). Dare voce ai lavoratori con le testimonianze della loro personale esperienza tra le mura aziendali potrebbe risultare una delle pratiche vincenti non solo per trattenere e attrarre i talenti al proprio interno, ma anche e soprattutto per restituire quella sicurezza e stabilità psicologica ed emotiva venute meno con la pandemia. Non è un caso che alcune aziende abbiano già fatto ricorso a questa situazione.
Insomma, valorizzare l’intelligenza collettiva e gratificare i dipendenti, in quanto fautori di una missione e di un obiettivo che non sia solo un “affare” riguardante i vertici aziendali, potrebbe diventare un punto di forza nelle strategie di comunicazione corporate e nel perseguimento di risultati che vadano oltre quelli prettamente economici.
Un altro elemento che ha assunto un considerevole valore in questi mesi è l’importanza che gli standard di sicurezza di un’azienda rivestono per i consumatori. Pertanto, nel pianificare strategie di marketing efficaci devono essere espressamente previste e, di conseguenza comunicate con chiarezza, le policies rivolte alla tutela della salute dei dipendenti e dei clienti.
L’importante è che le promesse fatte su carta – finalizzate a riacquistare la fiducia persa a causa della pandemia – vengano mantenute nella realtà, pena un danno di immagine non indifferente per l’azienda.
Ultimo fattore – non meno importante – da tenere in considerazione è la crescente attenzione che le organizzazioni hanno posto ai temi della sostenibilità e dell’innovazione. L’emergenza sanitaria che ha coinvolto l’intero pianeta è stata un’occasione per rimettere in discussione questioni legate ad una migliore gestione delle risorse ambientali, agli sprechi, ai comportamenti quotidiani e agli stili di vita di ciascuno di noi. E a quelle legate all’innovazione di processo e di prodotto.
Se è vero che numerose aziende hanno deciso di aumentare le risorse destinate al welfare aziendale, altrettanto lo è l’esigenza di attuare strategie di comunicazione che mettano in luce l’impegno delle organizzazioni nel perseguimento di politiche di salvaguardia della salute, dell’ambiente, nello sforzo profuso a migliorare lo stile di vita della società nel suo complesso, attraverso iniziative collegate alla CSR (Corporate social responsibility), alla social innovation e al crowdfunding civico.
In conclusione, può considerarsi una certezza il fatto che le politiche messe in atto per fronteggiare e tamponare l’emergenza tenderanno a consolidarsi fino a diventare parte integrante della vita quotidiana. Come esempio paradigmatico di ciò, si pensi al fenomeno della digitalizzazione e alla contestuale e crescente valorizzazione dell’aspetto umano.