Il fattore umano. Perché nelle Open Innovation a fare la differenza sono le persone
di Valentina Meliciani, Carlo Napoli, Roberto Urbani
Recentemente la comunità accademica internazionale ha evidenziato l’importanza di studiare l’Open Innovation (OI) a diversi livelli, partendo dal presupposto che essa ha implicazioni sul modo in cui le attività di innovazione si espletano a livello individuale, organizzativo, inter-organizzativo e persino a livello più ampio delle regioni o dei settori. In linea con questa nuova consapevolezza, i più recenti studi hanno iniziato a dedicare attenzione al “fattore umano” della OI (Bogers et al. 2018) e all’importanza del contesto istituzionale in cui l’impresa opera ed è immersa (Chesbrough e Bogers, 2014).
A partire da queste osservazioni, con la ricerca Luiss-Fondazione ENEL ci siamo posti l’obiettivo di studiare l’OI in Italia analizzando non solo il livello, il grado e il tipo di apertura delle imprese, ma anche il ruolo che la componente umana e il contesto geografico di appartenenza hanno nel determinare l’efficacia dell’adozione di pratiche di OI nel miglioramento della performance innovativa ed economica delle imprese. In particolare, ci siamo chiesti quali siano i facilitatori interni dell’impresa che agevolano il raggiungimento di risultati innovativi di successo. Per facilitatori intendiamo tutti quegli elementi sia umani (e.g. leadership, clima collaborativo, fiducia, amicizia, personalità dei membri del team) che metodologici (e.g. Stage gate, Design Thinking, Agile, team multifunzionali) che possono influenzare il processo innovativo. In secondo luogo, vogliamo capire se e come le imprese riescano a gestire i fattori ambientali, soprattutto quelli non favorevoli (politiche avverse, crisi congiunturali, ecosistemi locali non collaborativi, scarsa internazionalizzazione, incertezze tecnologiche o di mercato solo per citarne alcuni) in modo da limitarne gli effetti negativi o, addirittura, a trasformali in influenze positive.
Con questo scopo abbiamo analizzato gli elementi raccolti dapprima somministrando un questionario e conducendo una serie di interviste su un campione “pilota” di imprese e, successivamente, con una rilevazione quantitativa più ampia che ha coinvolto circa 200 aziende del settore manifatturiero e dei servizi di informazione e comunicazione.
I risultati raggiunti finora hanno evidenziato chiaramente come gli indicatori tradizionali di OI non siano in grado da soli di catturare le specificità del fenomeno dell’OI in Italia. Mentre le imprese analizzate non sembrano attribuire un’importanza elevata alle collaborazioni esterne, attribuiscono valori elevati al “clima innovativo” interno, inteso come numero di pratiche aziendali volte a migliorare la capacità innovativa dell’organizzazione agendo sulle risorse umane. Le modalità di collaborazione quindi, nella maggior parte dei casi, non consistono nella semplice “acquisizione” di innovazioni esterne quanto piuttosto nello sviluppo congiunto di soluzioni. Per questo scopo, le competenze interne delle imprese e la qualità delle risorse umane risultano di primaria importanza.
In particolare, emerge con chiarezza che i due fattori chiave individuati per il successo dell’attività di innovazione di un’impresa sono 1) la capacità di interagire in modo efficace con un ampio ecosistema di open innovation (es. fornitori, centri di ricerca, università, startup); 2) l’adozione di pratiche virtuose di gestione del personale per garantirne un’estrema attenzione e valorizzazione.
L’effetto dell’OI sulla profittabilità delle imprese diviene realmente significativo solo quando questi elementi vengono adottati simultaneamente: le imprese che adottano pratiche di OI e pratiche virtuose di gestione del personale, mostrano un livello di profittabilità (ROCE) quasi doppio rispetto quello delle altre imprese del campione.
Dunque, appare evidente come per tradurre la tecnologia in innovazione siano necessarie delle scelte gestionali virtuose che mettano in condizione le persone di esprimere concretamente il loro potenziale innovativo. L’azienda riuscirà ad esprimere un differenziale competitivo se riuscirà a fare propri in modo strutturato valori chiave per l’innovazione quali la diversità, la fluidità della comunicazione, lo spazio per l’iniziativa del personale e la creatività.
In questo modo è possibile far sì che le persone collaborino in modo efficace sia all’interno che all’esterno del perimetro aziendale, per mettere a fattor comune competenze, idee e risorse per generare innovazioni che producono un impatto positivo dal punto di vista economico, ambientale e sociale.
*Articolo pubblicato su Luiss Open il 17/04/2021