Il Regno Unito si tiene da conto il conservatore Johnson. Motivi e scenari

di Domenico Maria Bruni

Le elezioni dello scorso 6 maggio nel Regno Unito si sono confermate un termometro utilissimo per leggere l’attuale fase politica nel Paese. I Conservatori, al governo nazionale ininterrottamente dal 2010 e dopo aver vinto le elezioni generali nel 2019, escono in generale rafforzati anche da questa tornata elettorale intermedia. Analizziamo brevemente i risultati del voto per il Parlamento scozzese, per decine di enti locali e per l’elezione suppletiva nel collegio elettorale inglese di Hartlepool.

 

Dalla Scozia a Hartlepool, un’analisi a caldo

In Scozia, è stata netta l’affermazione dello Scottish National Party (SNP), partito nazionalista e indipendentista scozzese. Lo SNP si è aggiudicato 64 seggi su 129, mancando per appena un seggio l’agognata maggioranza assoluta pur guadagnando un deputato in più rispetto alla precedente tornata elettorale. Solo contando gli 8 seggi dei Verdi, anche loro pro indipendenza, si può dire che il fronte indipendentista sia maggioranza assoluta nel Parlamento scozzese. Tuttavia è ancora da capire se i Verdi vorranno costituire formalmente un’alleanza di governo con lo SNP. Potrebbe infatti prevalere il timore di finire “cannibalizzati” come accadde ai Liberal-democratici, a livello nazionale, quando essi si allearono a Westminster coi Tory nel 2010. Senza contare che su alcune materie, come i diritti civili e politiche ambientali, le distanze tra SNP e Verdi non sono così insignificanti. I Conservatori invece hanno dimostrato una certa tenuta, mantenendo inalterato il conto dei loro seggi, 31, e confermandosi così come primo partito unionista di opposizione (visto che i Laburisti di seggi ne hanno 22 e i Liberal-democratici 4).

Quali conseguenze per il progetto indipendentista scozzese? L’indizione di un nuovo referendum per chiedere l’indipendenza della Scozia da Londra (Indyref2), dopo quello perso nel 2014, rimane la rivendicazione principale dello SNP. Come detto in un’analisi che precedeva il voto (Regno Unito. Dopo Brexit e pandemia, Boris Johnson ora alla prova elettorale, Policy Brief n. 18/2021), raggiungere la maggioranza assoluta del Parlamento locale avrebbe rafforzato simbolicamente la richiesta di una nuova consultazione elettorale. Detto ciò, è da notare che la leader dello SNP, Nicola Sturgeon, pur rivendicando come la vittoria dello SNP significhi un palese mandato pro “Indyref2”, ha anche dichiarato che i primi 18 mesi della nuova legislatura scozzese saranno dedicati innanzitutto a gestire l’uscita dalla pandemia da Covid-19 e la ripresa dell’economia. Sturgeon, insomma, sembra alla ricerca del punto di caduta ideale fra strategia e tattica. Infatti i sondaggi delle ultime settimane non fanno intravvedere una vittoria netta del “sì” all’indipendenza, anzi. La campagna vaccinale di successo gestita da Londra a fronte delle indecisioni dell’Unione europea nelle scelte anti-pandemia, insieme alla ripresa economica attesa del Regno Unito e al timore di ostacolarla con un nuovo hard border che potrebbe nascere al confine con l’Inghilterra, sono alcuni dei fattori che possono spiegare l’attuale relativa tiepidezza dell’opinione pubblica verso l’indipendenza tout court. Lo SNP potrebbe dunque ritenere opportuno concentrarsi per il momento su altri temi, aspettando che il successo vaccinale di Londra passi in secondo piano, sperando magari che il nuovo round di negoziati in arrivo sul fronte Brexit – per definire i nuovi rapporti con Bruxelles, una volta sancito il divorzio – si riveli spinoso per il governo centrale inglese. Non mancano d’altronde indicazioni in tal senso, dalle questioni della pesca a quelle del confine con l’Irlanda. In definitiva, una posizione oggi più attendista sul referendum per l’indipendenza potrebbe consentire di sfruttare eventuali svolte negative dei negoziati Londra-Bruxelles, per avvantaggiarsene politicamente domani.

Sul fronte delle elezioni locali, in termini numerici si può parlare di una netta vittoria dei Conservatori che si sono aggiudicati 2.339 seggi in giro per il Paese, con un aumento di 293 seggi rispetto alla situazione precedente. Ai Laburisti ne sono andati in totale 1.344, con un decremento di 267 seggi. Nel complesso, l’avanzata conservatrice è spalmata un po’ in tutta l’Inghilterra, anche se è ancora visibile la divisione classica tra grandi centri urbani (tendenzialmente appannaggio dei Laburisti) e dei centri più piccoli o delle aree rurali (più filo Conservatori). Da segnalare a questo riguardo la riconferma dei Laburisti a Liverpool, Manchester e Londra, anche se in quest’ultimo caso i Conservatori hanno fatto meglio del previsto, facendo segnare un +1 nel riparto dei seggi nella London Assembly. Insomma, il gap ideologico-elettorale tra grandi centri e piccoli centri sicuramente non si è ampliato.

Nell’elezione suppletiva di Hartlepool, collegio del Nord dell’Inghilterra, i Conservatori sono usciti netti vincitori dalle urne, strappando il collegio ai Laburisti, con circa 23 punti percentuali di vantaggio sui Laburisti, in linea con le previsioni dei sondaggi delle ultime settimane. Come argomentato nel precedente Policy Brief sul tema, questo collegio è particolarmente simbolico perché situato nel cosiddetto “Red Wall”, o “muro rosso”, una storica roccaforte laburista nel nord dell’Inghilterra che però ha votato a favore della Brexit nel 2016 e poi ha premiato in modo inedito i Conservatori alle elezioni generali del 2019. Tale nuova tendenza, dunque, pare non essersi esaurita. I Conservatori sono riusciti tra l’altro, anche in questo collegio, a riassorbire completamente il voto “in uscita” a destra; il Brexit Party alle elezioni del 2019 raccolse il 25,8% dei consensi a Hartlepool, consensi stavolta confluiti praticamente tutti sul candidato dei Tory.

 

Conservatori e Laburisti, scenari futuri per i principali partiti politici

I Conservatori, come conferma quanto accaduto a Hartlepool e nelle amministrazioni locali, hanno ricompattato lo schieramento alla destra del centro, complice l’eclissarsi di UKIP e Brexit Party. Il tutto mentre lo schieramento politico alla sinistra del centro si va invece frammentando: a fronte di un calo dei Laburisti, i Lib-Dem tengono e i Verdi avanzano. Si tratta di una dinamica che potrebbe ripetersi nelle prossime competizioni elettorali.

Più in generale il risultato elettorale positivo dei Conservatori in tutti i territori del Regno Unito si spiega con la loro capacità di intercettare una richiesta di “protezione” (rispetto a certi effetti negativi della globalizzazione) diffusa nell’elettorato. Non solo: a partire dal referendum sulla Brexit, è diventato chiaro che esiste un discorso identitario e culturale che pure conta per tanta parte del Paese. I Tory di conseguenza hanno rivisto radicalmente la loro immagine, certo, ma anche la loro strategia e la loro offerta politica. Come confermato proprio in queste ore dal tradizionale discorso al Parlamento con cui la Regina Elisabetta II delinea le priorità del governo Johnson (11 maggio), i Conservatori hanno rimodellato per esempio la loro politica economica, diventando propugnatori di un intervento pubblico più deciso in economia – su infrastrutture, Sanità e alloggi, per esempio – soprattutto a sostegno di aree come le Midlands o il Nord dell’Inghilterra che hanno sofferto maggiormente l’impatto della globalizzazione economica. Non è casuale che il Primo Ministro Johnson intenda ora passare dallo slogan “Jabs! Jabs! Jabs!”, cioè “Vaccini! Vaccini! Vaccini!”, a “Jobs! Jobs! Jobs!”, “Posti di lavoro! Posti di lavoro! Posti di lavoro!”. Un tale cambiamento culturale e politico potrebbe avere peraltro conseguenze sulla partita referendaria scozzese, consolidando i consensi per i Conservatori che sono radicati al sud della Scozia, in territori economicamente e socialmente legati al nord dell’Inghilterra, spostando così gli equilibri a favore degli unionisti.

Da non sottovalutare, infine, l’effetto di rafforzamento che questo voto avrà sulla leadership di Johnson. In Italia ci si è limitati spesso a dipingere l’attuale Primo Ministro come un personaggio un po’ folcloristico, sorvolando su alcuni aspetti di maggiore sostanza. Johnson “folcloristico” lo è sempre stato e nonostante ciò è stato per due volte sindaco di Londra, si è conquistato nel proprio collegio l’elezione a Westminster, infine la leadership dei Tory. Insomma, per gli Inglesi Johnson non è una “scoperta” arrivata da chissà dove. Inoltre proprio il suo passato da sindaco gli ha fatto sviluppare significative capacità di “ascolto” dell’elettorato. Infine, benché decisivo nel portare a termine il divorzio dall’Unione europea, Johnson non è un “thatcheriano”, e dunque può essere il leader giusto per incarnare l’attuale evoluzione dei Conservatori.

La prolungata crisi dei Laburisti, all’opposizione a livello nazionale dal 2010, merita pure qualche approfondimento. Si potrebbe partire dalle parole di un esponente laburista, Khalid Mahmood, primo musulmano a essere eletto a Westminster nel 2001, che a metà aprile scorso si è dimesso dallo Shadow Cabinet stigmatizzando “l’allontanamento del Labour dalla classe lavoratrice” e la trasformazione del partito ormai troppo concentrato su “temi Londra-centrici” e composto di “brigate di combattenti per la giustizia sociale di matrice ‘woke’”. In altre parole, nutrendosi di identity politics, un partito espressione di sole minoranze si è auto-condannato a diventare minoranza nel Paese. Per certo l’onda lunga della crisi post Tony Blair (Primo Ministro dal 1997 al 2007) non è ancora passata: non è emerso a sinistra un progetto identitario-politico in grado di ricompattare interessi sociali ed economici, per poi tenerli assieme. A quanto rimane della “working class”, o comunque di quella parte di popolazione cresciuta con una mentalità di quel tipo, che ha vissuto sulla propria pelle il tramonto di un modello produttivo e sociale, non è stato offerto nulla di positivo. È altamente simbolico, a questo proposito, che i Laburisti abbiano perso dopo quasi 100 anni il controllo della Contea di Durham, luogo storico della memoria dei minatori, cioè della quintessenza della classe lavoratrice britannica del xx secolo. L’attuale segretario laburista, Keir Starmer, ha messo dei paletti alla sinistra movimentista à la Jeremy Corbyn, ma la gestione della pandemia gli ha imposto di scegliere tra il ruolo dell’“oppositore patriottico” e quello dell’“oppositore a prescindere”. Starmer ha scelto la prima strada, ma poi non ha offerto una visione e una speranza in positivo per il futuro. Rimediare a ciò, nei prossimi mesi, costituisce la sfida più difficile per i Laburisti, tuttavia la pessima gestione dei primi giorni post-elettorali non pare un buon viatico.