Il viaggio di Francesco in Iraq

di Samuele Sangalli*

A otto anni di distanza dall’inizio del suo pontificato, la geopolitica spirituale di Papa Francesco ha già segnato traguardi importanti realizzando eventi che – come lui stesso ama ripetere – “iniziano processi, più che occupare spazi” (Evangelii Gaudium n° 223).

In realtà, in ambito interreligioso, la sua azione si pone in continuità creativa con la svolta irrevocabile del Concilio Vaticano II che, soprattutto attraverso il Decreto Nostra Aetate (1965), impegnò la Chiesa Cattolica a perseguire il Dialogo Interreligioso come aspetto qualificante della sua missione evangelica, di pace e riconciliazione, nel mondo.

I Romani Pontefici che, da allora, si sono succeduti hanno mostrato fedeltà al mandato conciliare. L’originalità di Jorge Mario Bergoglio riprende, già nel suo nome da Papa, quell’intuizione di Giovanni Paolo II di trarre ispirazione dal Profeta di Assisi per proporre all’umanità una vision di convivenza capace, per la sua realizzazione, di attivare le migliori energie di ciascuno di noi.  

Quello “Spirito di Assisi”, che prese avvio nello storico Incontro Ecumenico del 27 ottobre 1986, aleggia sul Magistero di Papa Bergoglio che, non a caso, ha titolato le due Encicliche stese di suo pugno con espressioni qualificanti la testimonianza di fede di San Francesco: Laudato Sii (2015) e Fratelli tutti (2020).

In un mondo provato dalla pandemia e carente di leadership capaci di scaldare il cuore, Papa Francesco che, pur tra mille difficoltà, non cessa di proporre alla sua Chiesa cammini di sinodalità quali garanzie per una purificazione ed un aggiornamento rispettosi di tutti, continua parimenti a tessere impegnative prospettive di fratellanza tra le religioni come condizioni per costruire un mondo conforme ai diritti umani.

In continuità con il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, siglato ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyed nel febbraio del 2019, il recente incontro con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, nella martoriata terra irachena, fa parte di quella tessitura di relazioni positive, di incontri di civiltà, alternativi all’indifferenza, a quella mentalità egoistica ed intollerante, a quell’odio reciproco che continua a seminare morte, al centro come alle periferie, e che rischia di portare il pianeta sull’orlo della catastrofe ecologia.

Nessuno vuole farsi illusioni. Resta di monito l’antica parola del profeta Geremia (17,9-10): «Il cuore umano è più ingannevole di ogni altra cosa e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere?». Ma se, come conclude sempre il testo biblico, il giudizio finale su ogni persona appartiene solo a Dio, resta a ciascuno il compito di “curare il cuore”, proprio ed altrui, indicando obiettivi di vera umanizzazione, in uno stile di dialogo e rispetto reciproco.

Nel Canto XI del Paradiso, ponendo sulla bocca di San Tommaso d’Aquino l’elogio del Poverello di Assisi, Dante Alighieri – di cui ricorre quest’anno il settimo centenario – sottolinea l’inscindibile legame tra il “sole” recato dal Santo “ch’el cominciò a far sentire la terra/della sua gran virtude alcun conforto” (vv.56-57), con la sua precisa opzione per “Madonna Povertà”: “Francesco e Povertà per questi amanti/ prendi oramai nel mio parlar diffuso” (vv.74-75). È in questa linea che Papa Francesco, dal primo viaggio apostolico a Lampedusa, nel luglio del 2013, a quest’ultimo a Mosul e Qaraqosh, ha proposto il vero rinnovamento del mondo partendo dall’attenzione e la presa in carico delle periferie, dagli ultimi, da ciò che “il modello dominante” collocherebbe tra gli scarti, problematici ed irrilevanti.

È il “mondo capovolto” di Francesco d’Assisi, ritenuto utopico già nel Medioevo, paradossalmente proprio da quella societas christiana nel cui gremio era pur sorto, lacerata dai conflitti sulla corretta interpretazione della radicalità evangelica fino al fiorire della modernità, quando altri paradigmi si sostituiranno quale criteriologia dell’organizzazione pubblica. Ma, a distanza di secoli ed ormai edotti dalle dinamiche della globalizzazione, possiamo finalmente riconoscere che non vi è alternativa ad un approccio solidale, ove in principio “nessuno è nemico”, per garantire un futuro all’umanità?

Esercitare il dialogo, la mutua comprensione, la reciproca valorizzazione, anzitutto nei contesti più negletti e “ai margini”, infonde un particolare “afflato religioso” alla pedagogia della fratellanza, chiedendo ad ogni credente – come attesta sin dal prologo il testo di Abu Dhabi – di trovare proprio nella infinita Misericordia di Dio la sorgente per: “esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere”. Se si può parlare di un “valore aggiunto” nell’esperienza religiosa, esso va trovato in questo non-limite all’amore, che varca le soglie di ciò che è terreno, per una speranza “più grande”.

Da otto anni, l’azione interreligiosa di Francesco ci sottrae alla “tirannia dell’urgente” che tende a riempire ed appiattire i nostri discorsi reali e virtuali, per proiettarci su percorsi davvero degni e praticabili dalla next generation. A noi trovare spazi ed iniziative congruenti, quali corollari di questi gesti profetici, perché alimentino concretamente di robusta speranza le strategie del mondo post-pandemia.

*articolo pubblicato su Luiss Open il 10 marzo 2021