Innovazione consapevole

Giovanni Lo Storto

Con la campagna vaccinale che avanza in tutto il mondo, facendoci intravedere uno spiraglio di luce in fondo a un tunnel di eventi senza precedenti, stiamo riorganizzando le nostre vite attorno alla possibilità di recuperare una nuova normalità molto presto.

Ma prima di riflettere su cosa sarà – di nuovo – normale quando la pandemia sarà finita, bisogna chiedersi cosa sia nella pratica “l’innovazione” e quali azioni necessarie si porta dietro. Al di là di quanto possa apparire a un primo sguardo, l’innovazione non è un processo efficiente. Come ci ricorda Simon Sinek, l’innovazione è inefficiente perché implica errori e tentativi che rallentano un processo consolidato e lo deviano dai binari prestabiliti. Per giunta, è illusorio pensare che sia necessariamente positiva. In alcuni casi non è così, oppure ciò che è coperto dal velo innovativo è in realtà una sovrastruttura di cui possiamo fare a meno.

L’innovazione ha sempre delle potenzialità intrinseche che, sebbene non immediatamente visibili, possono trarre vantaggio da processi flessibili in grado di riaggiustare la traiettoria man mano che l’implementazione ne fa emergere l’esigenza. Pensiamo al motore a scoppio: chi lo ha inventato non avrebbe mai potuto prevedere che sarebbe stato uno degli elementi di una rivoluzione industriale. Lo stesso è accaduto con Internet. Ma attenzione, tutto questo non è scontato. Il cambiamento non consente di essere troppo radicati nel presente o nel comfort di ciò che conosciamo e si avvia nel momento in cui ci chiediamo il perché di tutto.

La pandemia ci ha messo di fronte a una serie di problemi che ci hanno sradicato dallo status quo e che ci hanno mostrato spazi potenziali di innovazione. Abbiamo visto come la scuola, in primo luogo, si sia trasformata in modo sostanziale per portare online la propria capacità didattica, anche se l’impreparazione di base ha fatto emergere quanto ancora ci sia da fare per garantire opportunità uguali per tutti. In altre parti del mondo la tecnologia ha dimostrato il proprio potenziale moltiplicativo di opportunità ad esempio nel settore medico. In Ruanda, dove c’è un radiologo ogni milione di persone, sono state recentemente testate soluzioni di telemedicina che, grazie al supporto dell’intelligenza artificiale, hanno consentito di aumentare notevolmente la capacità di assistenza ai milioni di pazienti durante la pandemia, facendo del Ruanda potenzialmente uno dei Paesi più avanzati nel settore della salute digitale.

La digitalizzazione, però, deve crescere in modo equo per essere funzionale. Il World Economic Forum ha stimato che entro il 2022 il 60% del Pil globale sarà basato su piattaforme digitali. Tutto questo mentre il 50% della popolazione mondiale non ha accesso agli sviluppi dell’economia digitale. La tecnologia nasce senza anima, nonostante gli sforzi fatti per rendere le macchine esseri emotivi. Jonathan Crary, nel suo 24/7, descrive la lunga storia delle ricerche per ottenere farmaci in grado di ridurre o eliminare il bisogno di dormire. Crary spiega che il sonno è un lusso che le economie capitaliste e gli eserciti non si possono (più) permettere, nell’ottica della competizione uomo-macchina.

Tutti questi elementi si avvicendano per formare un quadro chiaro: la pandemia, pur nel dramma che ha causato, ci ha portato a riflettere sul valore della consapevolezza di ciò che abbiamo oggi e ciò a cui vogliamo arrivare in un futuro che è, di fatto, già qui. Lavorando soprattutto affinché l’innovazione, la digitalizzazione e il progresso siano un bene comune e di valore condiviso.

 

(Articolo pubblicato il 6 maggio 2021 su Formiche)