Jen Psaki, una donna in missione alla Casa Bianca
di Fabio Massoli
Gli anglosassoni, quando si tratta di narrare le gesta di qualcuno che si accinge ad affrontare una sfida particolarmente ardua, amano utilizzare spesso e volentieri il termine a forte matrice evocativa a man on a mission: questo termine, se declinato al femminile, diventa a woman on a mission e come definire altrimenti, se non come una vera e propria donna in missione, Jen Psaki, la nuova proprietaria delle chiavi della James Brady Press Briefing Room, la sala stampa della Casa Bianca. Scelta dal neo presidente eletto Joe Biden come press secretary dell’amministrazione insediatasi il 20 gennaio scorso, la Psaki avrà l’arduo compito (onere ed onore) di ricucire un rapporto ai minimi storici e mai così incrinato tra il portavoce del presidente e la stampa, dopo i quattro anni appena trascorsi, a dir poco turbolenti, con Donald Trump.
Il controverso periodo del tycoon newyorchese da inquilino del numero 1600 di Pennsylvania Avenue ha infatti lasciato in eredità tra le tante cose una finestra in frantumi, per utilizzare una metafora il più possibile adeguata alla situazione, dalla quale quotidianamente i cittadini americani potevano affacciarsi per restare informati sulle decisioni dell’uomo più potente al mondo. Il press briefing nel quale l’addetto stampa si incontra con i giornalisti per aggiornarli sulle decisioni prese nella sala ovale e per rispondere alle loro domande è da sempre considerato un rito laico nella vita politica americana, se non addirittura uno dei momenti alla base del sistema democratico d’oltre oceano. Mai come in America infatti l’espressione quarto potere, coniata per esprimere il ruolo svolto dei mezzi di comunicazione nella società, ha trovato terreno così fertile. Nel Paese in cui i giornalisti sono considerati watchdogs, paladini della verità, in cui Bob Woodward e Carl Bernstein del Washington Post si guadagnarono eterna gloria prima facendo esplodere lo scandalo Watergate e poi venendo interpretati da Robert Redford e Dustin Hoffman nel film vincitore di 4 Premi Oscar Tutti gli uomini del Presidente, sono guai per lo staff del Presidente non instaurare un rapporto di reciproco rispetto e lealtà con la stampa, specialmente per la figura incaricata di interfacciarsi con loro ogni giorno. D’altronde la NBC ha pure girato una serie tv di discreto successo a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, The West Wing, per ricordarlo: evidentemente non deve essere stata tra le preferite di Donald Trump, posto che con i media, salvo rare eccezioni come il New York Post e Fox News, non è mai andato molto d’accordo nei suoi giorni da 45° POTUS. Le ben quattro (!) portavoce che si sono succedute durante il suo mandato, dal 2017 al 2021, hanno dato vita ad un crescendo di acredini con gli inviati a Washington, culminato negli ultimi mesi del suo mandato con i botta e risposta in diretta tv e con la singolar tenzone tra Kayleigh McEnany, ultima press secretary di Trump, e Jim Acosta della CNN. La McEnany è stata assoldata da Fox News una volta terminato il suo incarico alla Casa Bianca.
Alla base di quella che può essere definita, senza allontanarci troppo dal gergo geopolitico, come una vera e proprio guerra fredda tra le due parti vi è l’enorme mole di dati e fatti non confermati o del tutto infondati diffusi reiteratamente da Trump e dal suo staff, soprattutto dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19 a febbraio 2020: il Washington Post li ha contati uno ad uno ed è emerso che al termine della sua presidenza sono state riportate 30.573 fake news. Una situazione ai limiti del kafkiano al quale, con la vittoria di Biden alle presidenziali di novembre 2020 e con il conseguente cambio della guardia a inizio 2021, si proverà a porre rimedio.
A guardare la sua biografia, ci si accorge presto che in realtà la Psaki conosce bene la toponomastica dell’edificio più famoso del mondo. Quarantaduenne nativa di Stamford, Connecticut, ma di origini europee (padre polacco e madre greca), Jennifer Rene Psaki, dopo aver frequentato la stessa scuola media dell’ex presidente George W. Bush, si laurea nel 2000 alla Greenwich High School. Conclusa la carriera accademica e lasciata la propria attività da insegnate di nuoto (ai tempi del liceo raggiunge anche discreti risultati a livello agonistico) si interessa di politica e comunicazione, una passione in realtà coltivata fin da bambina: “Quando avevo circa sei anni – racconta in una recente intervista a Elle – mi piaceva guardare 20/20. Non sapevo davvero quali fossero le notizie a quell’età, ma mi piaceva la narrazione. Dicevo alla mia famiglia che quando Barbara Walters si sarebbe ritirata, avrei accettato il suo lavoro”.
Inizia lavorando in Iowa nelle campagne elettorali dell’ex governatore dello stato Tom Wilsack e del senatore Tom Harkin. Nel 2004 arriva il primo vero banco di prova nazionale, quando entra nello staff comunicazione dell’allora candidato alla presidenza per il Partito Democratico, John Kerry. Le sue qualità e doti nel lavoro la portano nel 2008 a far parte dello staff di Barack Obama, che la vuole come addetto stampa itinerante nella campagna elettorale per le presidenziali. La vittoria del primo presidente nero della storia degli Stati Uniti spalanca alla Psaki le porte della White House, essendo confermata nel team comunicazione con le mansioni prima di vice addetta stampa e poi di vice direttrice delle comunicazioni. Lascia momentaneamente la politica nel 2011, quando viene assunta dall’importante agenzia di pubbliche relazioni Global Strategy Group, con sede a Washington, per poi rientrare di nuovo nella scena politica solo un anno più tardi per seguire la campagna per la rielezione di Obama e, ad elezioni vinte e concluse, per assumere il ruolo di portavoce del Dipartimento di Stato con l’allora segretario John Kerry. E’ qui che la Psaki si attira per un periodo l’attenzione dei media russi nel bel mezzo della crisi tra Russia e Ucraina, dopo un misunderstanding dovuto ad un errore di traduzione che porterà perfino alla nascita dell’hashtag #Psaking. Nel 2015, di nuovo e per l’ultima volta, viene richiamata da Barack Obama come direttrice delle comunicazioni, ruolo che manterrà sino a termine del mandato.
Il suo tempo nella stanza dei bottoni sembra ormai concluso e infatti nel 2017 viene assunta dalla CNN, ma nel 2020 è questa volta Joe Biden a volerla: fa parte prima dello staff del Biden-Harris Transition e poi premiata col ruolo più importante della sua carriera, quello di Press Secretary of the White House.
Sempre a Elle racconta il suo colloquio con lo stesso Biden: “Quando abbiamo parlato del lavoro di addetto stampa, abbiamo avuto una conversazione su una serie di questioni: politica estera, interna ecc… Alla fine però mi ha detto: “Parlami dei tuoi figli”. Gli ho risposto: “Oh, ne ho due: uno di cinque e uno di due anni”. Mi ha allora assicurato: “Ascolta, lo dico a tutti quelli che lavorano per me: ogni volta che hai qualcosa che riguarda la tua famiglia, se hai bisogno di essere lì, non devi mai sentirti in obbligo di darci spiegazioni. Diccelo e basta, per noi andrà bene”.
La Psaki è il capitano di una squadra, lo staff comunicazione, già entrata nella storia, essendo composta da sole donne. “È un onore essere qui con tutti voi – ha detto nel suo primo press briefing – Quando il presidente mi ha chiesto di svolgere questo ruolo, abbiamo parlato dell’importanza di riportare verità e trasparenza nella sala stampa”. Una sala stampa più trasparente, ma anche più inclusiva: per la prima volta infatti durante le conferenze sarà presente anche un interprete per la lingua dei segni.
Come riportato dall’importante rivista POLITICO, Biden era alla ricerca di una portavoce che fosse fonte attendibile di informazioni sia sulla politica sia sulla lotta al Covid-19, qualcuno insomma che potesse aiutarlo a ricostruire la fiducia nell’istituzione governativa: “Una delle cose importanti per lui è che il tono e il messaggio provenienti dal podio siano allineati con i suoi principi: riunire il Paese, ricostruire le istituzioni e avere fiducia nel governo senza infiammare il dibattito politico”.
Gli inviati alla Casa Bianca delle varie testate giornalistiche hanno accolto in modo positivo la nuova portavoce, rispettandola per i suoi 20 anni di esperienza nella comunicazione e per i suoi tanti incarichi legati alla politica: ne è testimonianza la mole di tweet di apprezzamento degli addetti ai lavori al termine della prima conferenza stampa, il “primo appuntamento” in quella che mira ad essere una storia d’amore basata sulla lealtà e sul reciproco rispetto. Per stessa ammissione della Psaki “ci saranno momenti in cui voi ed io non saremo d’accordo, ma ricostruire la fiducia con il popolo americano sarà al centro della nostra attenzione nell’ufficio stampa e alla Casa Bianca, ogni singolo giorno”. Un compito arduo dopo quanto accaduto e culminato con i fatti del 6 gennaio. Un compito che fa di Jennifer Psaki un’autentica woman on a mission. In queste ore alle prese con la notizia del primo raid aereo in Siria dell’era Biden. Non certo una cosa di poco conto, considerando il peso che la politica estera ha negli Stati Uniti.