Analisi semiotica del discorso di fine anno del Capo dello Stato

di Francesco Giorgino

Credenze e simboli condivisi

Analizzare semioticamente un “testo” come il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, secondo un approccio metodologico di tipo qualitativo più che quantitativo, descrittivo più che normativo, significa fare sostanzialmente due cose che possono apparire persino in contraddizione l’una con l’altra. Da un lato, significa smontare il discorso di Mattarella in singole unità semantiche;  dall’altro, agganciare la segnalazione del livello di superficie (quello, cioè, raccontato dalla stragrande maggioranza dei media con finalità più che altro di cronaca politico-istituzionale) al livello più profondo. E ciò, per coglierne le traiettorie concettuali, i significati e gli elementi ermeneutici, a partire dal contesto pandemico. Contesto utilizzato ed utilizzabile come spartiacque tra l’annus horribilis del 2020 e quello della speranza e della “rinascita”, ovvero il 2021. Scomporre e ricomporre. Separare e unire. Far uscire allo scoperto il sistema di relazioni implicite ed esplicite presenti all’interno del discorso (Greimas, 1970), ma anche al di fuori di esso, come avviene nella prospettiva della valorizzazione della cosiddetta intertestualità (Kristeva, 1969) e della semiosfera (Lotman, 1985). Eco avrebbe parlato di “enciclopedie”, ovvero di quel patrimonio di conoscenze e credenze condivise dalla società e dalla cultura in cui il “testo” è immerso in un determinato periodo storico (Cosenza, 2014). Necessario ricordare a tal proposito che la società pandemica ha rimodellato la percezione delle priorità nella sfera pubblica. Ha creato una differente e più complessa cultura delle aspettative e delle responsabilità. Trattasi di un ambiente sociale nuovo in cui si ridefinisce il senso di molte pratiche individuali e collettive.
Il “destinante” del processo semiotico è certamente il popolo italiano, il cui smarrimento Mattarella è consapevole di saper e poter interpretare al meglio, tanto da rivolgersi a loro con un “concittadine e concittadini”.  Il risultato?  L’annullamento fin da subito delle distanze con chi lo sta vedendo ed ascoltando. Come premessa generale del proprio argomentare, inoltre, vi è fin da subito la confessione della “difficoltà a trovare le parole adatte per esprimere a ciascuno un pensiero augurale”. Anche in questo caso uno strumento d’immedesimazione collettiva e di simmetria comunicativa. Nell’incipit del suo discorso vi è, infatti, la prova della volontà di trasmettere il senso del limite che agevola il rafforzamento del legame della più alta carica dello Stato con gli italiani, molti dei quali alle prese con due condizioni oppositive eppure compatibili tra loro, come l’angoscia e la speranza. Quest’ultima viene da Mattarella messa in scena con la sottolineatura della consapevolezza che tutti “vorremmo tornare ad essere immersi in realtà ed esperienze consuete”. Ne consegue un elenco del “consueto/normale” costruito sul presupposto del recupero della dimensione empirica, dimensione garantita dalla speranza di riavere ospedali non più in emergenza; scuole e università aperte; fabbriche, teatri ristoranti, attività commerciali pienamente funzionanti; trasporti regolari e viaggi in Italia e all’estero; relazioni internazionali. Insomma, ciò che serve per consentire a tutti noi di “riappropriarci della nostra vita”. In fondo, è questo il vero Oggetto di Valore, per dirla anche in questo caso con il linguaggio della semiotica.

L’uso del linguaggio

L’uso continuo della prima persona plurale costituisce il significante verbale più evidente in un testo costruito anche attraverso scelte nette in termini di prossemica narrativa. Mattarella ha parlato in piedi davanti al Cortile d’onore del Quirinale deserto e buio, quasi a rafforzare la gravità del momento e la percezione di un ultimo dell’anno anomalo dopo le restrizioni del Dpcm sulle festività natalizie. Uno spazio coincidente con un significante non verbale in grado di denotare sobrietà e assenza di sfarzo, ma anche di connotare severità, apertura, respiro, presenza, capacità d’ibridazione del presente con il passato e il futuro. Non è un caso che nel tragitto che conduce la narrazione presidenziale dalla Fase della Competenza (gli strumenti e le posture sociali più idonee per ottenere risultati già a breve termine) alla Fase della Sanzione (la sconfitta definitiva del virus), passando attraverso la Fase della Performanza (Greimas, 1995), il Capo dello Stato parta da una ricostruzione sintetica (ma efficace) di quanto avvenuto nel 2020. Ricostruzione effettuata anche in chiave comparativa, con l’intento di non far dimenticare mai il significato etimologico della parola “pandemia”, che viene dal greco “pan-demos”, ovvero di “tutto il popolo” e che nella sociologia corrisponde all’idealtipo dei “fatti sociali totali”. La memoria, dunque, come terreno su cui edificare analisi dello status quo e soprattutto calcolo delle conseguenze sanitarie, economiche e sociali del Covid-19.  La memoria come concime (in tal senso i riferimenti al Risorgimento e alla Liberazione, ma anche a Dante, all’Unità d’Italia, al Centenario della collocazione del Milite Ignoto all’Altare della Patria, ai Settantacinque anni della Repubblica ) per far germogliare atteggiamenti in grado di ridurre e bloccare la paura, stato d’animo più accettabile del panico, differenziandosi non poco da quest’ultimo poiché genera consapevolezza dei rischi, e non una più preoccupante e pericolosa paralisi comportamentale.
Si badi bene che l’invito del capo dello Stato è in questo discorso, anzitutto, volto a “riconoscere” e ad “affrontare” le difficoltà di tutti, specie dei soggetti più deboli, come chi è rimasto senza lavoro, come i giovani e le donne, i disabili, le imprese più piccole, i lavoratori autonomi, i precari. L’invito è a “cambiare ciò che va cambiato” provando a rimettersi coraggiosamente in gioco. Sembrano essere queste le “Prove Qualificanti” (Propp, 2000) indispensabili per avvicinarsi gradualmente, ma con passo spedito, alle “Prove Decisive” e finalmente alla “Prova Glorificante”: arrivare a vivere il 2021 come l’anno “della sconfitta del virus e come il primo della ripresa”. Se è chiaro chi è il Soggetto (la comunità intera) e chi è l’Anti-soggetto (il virus e la diffusione del contagio), può non essere altrettanto intuitiva l’identificazione degli Aiutanti e degli Opponenti, figure che vanno a completare il quadro degli Attanti.

L’esortazione del Presidente

Cominciamo con gli Aiutanti. L’elenco di Mattarella è giustamente lungo e articolato: si va dal “piano di vaccinazione” agli “interventi europei innovativi e di straordinaria importanza”; dall’Unione Europea (di cui egli mette in evidenza la capacità di rilancio e la trasformazione in chiave di superamento degli “interessi egoistici”) al ruolo della scienza e della ricerca che il Presidente ricorda essere sorrette “da un imponente sostegno politico e finanziario”, capace di moltiplicarne la velocità d’individuazione. Specie sul tema dei vaccini il discorso di Mattarella diventa esercizio applicativo del modello semiotico enunciazionale di Eco e Fabbri (Grandi, 1994) sapendo proiettare all’interno dell’insieme testuale il simulacro dell’enunciatore (le istituzioni tutte e le loro responsabilità) e quello dell’enunciatario (i cittadini e i loro atteggiamenti e comportamenti). E’ qui che le parole si caricano di una funzione quasi pedagogica, assumendo le sembianze più robuste e consistenti del paradigma sociale: “Io mi vaccinerò appena possibile”. Fatelo anche voi, fa capire esplicitamente Mattarella, dopo aver evidenziato che “vaccinarsi è una scelta di responsabilità”. Anzi è un dovere.
Gli Opponenti, invece, sono rintracciabili in linea più generale nelle “fragilità strutturali che hanno impedito all’Italia di crescere finora come avrebbe potuto” (e dovremmo aggiungere anche “come avrebbe dovuto”), e più nello specifico in “errori e ritardi nel fronteggiare una realtà improvvisa e sconosciuta”. Mattarella a tal fine usa un’intonazione interrogativa, alternandola a quella assertiva dedicata alla “tenuta del Paese”, resa possibile grazie all’impegno di tanti: medici e operatori sanitari, Forze armate e Forze dell’Ordine soprattutto. Egli si domanda ciò che molti cittadini si chiedono: “si poteva fare di più e meglio?”. La risposta è contenuta in due parole, ovvero in quel “probabilmente sì”, che attenua la volontà di accreditare a tutti i costi la percezione comune di un’assenza di contestualizzazione. Del resto, questo vuol dire anche l’aggiunta “come sempre”. Tra gli Opponenti, per insistere ancora con il lessico della semiotica, il Presidente della Repubblica ha ricordato anche l’ignoranza e il pregiudizio nei confronti dei vaccini, le difficoltà interne alla maggioranza e il rapporto tra quest’ultima e l’opposizione. Non lo ha fatto in modo esplicito e diretto, ma implicito e indiretto, usando oltretutto più la negazione che l’affermazione: “non sono ammesse distrazioni”; “non si deve perdere tempo”; “non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte”; “non si tratta di annullare le diversità di idee, di ruoli, di interessi”, piuttosto si tratta di “realizzare quella convergenza di fondo che ha permesso al nostro Paese di superare momenti storici di grande e, talvolta, di drammatica difficoltà”.

Alzare la voce mantenendola bassa

Ancora una volta il percorso narrativo si snoda attraverso la determinazione a saldare i tre tempi dell’esperienza umana. Una saldatura che induce Mattarella a sottolineare che “non viviamo in una parentesi della storia” e che, anzi, “questo è il tempo dei costruttori”. Frase quest’ultima scelta da molti news media come titolo sintetico di un discorso ampio nei contenuti, essenziale nelle forme espressive, speriamo semplice e pragmatico negli effetti. Un testo semiotico nel quale si rincorrono, le une con le altre, parole e soluzioni semantiche come “Europa, europea o europeo” (10 volte), come “cittadini e concittadini”, “solidarietà” e “futuro” (5 volte), come “comunità” e  “responsabilità” (4 volte) e come “speranza” e “società” (3 volte).  Un discorso che, almeno da quando l’Auditel ha cominciato a funzionare, ha toccato la cifra record del 65% di share: 15 milioni e mezzo di telespettatori; 5 milioni in più rispetto al 2019. Un segno inequivocabile della fiducia che gli italiani nutrono nei confronti dell’istituzione Quirinale e della persona Sergio Mattarella, ma anche un’evidenza empirica del bisogno di anti-retorica e di approcci costruttivi, dell’esigenza cioè di intraprendere percorsi solidi e realmente rassicuranti sul nostro futuro.
È stato egli stesso a ricordarlo: si è trattato del discorso che ha dato il via all’ultimo anno da Presidente della Repubblica. Non è da tutti (per citare Breda del Corriere della Sera) “saper alzare la voce, mantenendola bassa”. E’ il principio del contenimento prosodico e cinesico, della qualità più che della quantità della comunicazione. E’ la forza della sobrietà e dell’autorevolezza.

 

Articolo precedentemente apparso su Luiss Open il 08 gennaio 2021