La leadership gentile di Jacinda Ardern e la sconfitta del coronavirus
di Lucio Lussi
“Siate gentili l’uno con l’altro. Essere gentili è molto più importante di quanto ci si possa rendere conto”. Questa frase permette di inquadrare i cardini fondanti della leadership costruita da Jacinda Ardern, giovane premier neozelandese che ha superato agevolmente la pandemia dacoronavirus, ovvero una delle prove più difficili che un leader che istituzionale è chiamato ad affrontare.
Be strong, be kind. La leadership della giovane leader laburista è un mix di decisionismo pragmatico, empatia, marketing istituzionale e gentilezza.
Classe 1980, Jacinda Ardern è nata nel borgo rurale di Murupara in una famiglia del ceto medio ed è cresciuta a Morrinsville, una delle roccaforti del National, il partito conservatore. Nel 2017, a soli 37 anni è diventata capo di governo (la più giovane al mondo) e dopo pochi mesi è diventata madre. Molto abile a conciliare vita privata e lavoro, è stata la prima leader mondiale a recarsi all’Assemblea generale dell’ONU insieme con la figlia di tre mesi. “L’unico motivo per cui posso fare quello che sto facendo è perché il mio partner ha la capacità di badare alla bambina praticamente a tempo pieno – ha dichiarato nel 2018 al Financial Times -. Quindi non voglio sembrare una superdonna, perché non dovremmo aspettarci che le donne si trasformino in superdonne”.
Molto spesso, infatti, la leadership femminile rischia di autodefinirsi come stereotipo, quando invece sarebbe più opportuno delineare un modello alternativo a quella maschile, un modello capace di valorizzare le differenze di genere e dare rilevanza ad alcune caratteristiche tipicamente femminili, come la capacità di ascolto, di collaborazione, di motivazione e, non ultima, l’empatia.
Nel 2018 la Nuova Zelanda è stata sconvolta dagli attentati di Christchurch, con l’uccisione di 50 musulmani per manodi un terrorista australiano. All’indomani della strage, la Ardern si recò in visita alla comunità islamica con il capo coperto in segno di rispetto. Nei giorni successivi dimostròun decisionismo fuori dal comune, chiedendo di impedire la pubblicazione di contenuti terroristici online (con il consenso dei big della rete come Facebook, Amazon, Google e Twitter) e vietando la vendita di armi d’assalto e semi-automatiche.
Nel novembre 2019 la leadership della Ardern affrontòun’altra dura prova: l’eruzione del vulcano Whakaari. Le immagini della premier che abbraccia il personale impegnato nella gestione dell’emergenza fecero il giro del mondo e il suo discorso in memoria delle vittime commosse una nazione intera.
La capacità di leadership della Ardern è emersa con forza,tuttavia, durante la gestione della pandemia. Una leadership che le ha permesso di essere rieletta nell’ottobre 2020 con una percentuale di consensi che ha sfiorato il 49% e una forte maggioranza laburista in Parlamento: 64 seggi su 120.
Boin, t’Hart, Stern e Sundelius (2016) hanno individuato i cinque compiti che i leader devono affrontare dinanzi a una crisi: sense–making, decision–making, meaning–making, accounting e learning. Analizziamo questi compiti applicandoli al case study di Jacinda Ardern.
Il sense–making è la raccolta e la elaborazione delle informazioni necessarie a definire la natura della crisi. Jacinda Ardern ha affrontato la pandemia con un approccio guidato dalla scienza e rafforzato quotidianamente dalle dichiarazioni ai media di Ashley Bloomfield, il direttore generale della sanità neozelandese. Una politica ispirata dai valori dalla competenza e da consigli indipendenti ed esperti che le ha fatto acquistare credibilità. Se a questo si aggiunge un’attività continua di informazione sono immediati i riflessi sul consenso elettorale.
Il decision-making riguarda le decisioni cruciali e il coordinamento della messa a punto di risposte coerenti per realizzarle. La premier neozelandese ha dimostrato un pragmatismo fuori dal comune. Nei primi mesi della pandemia, la Ardern ha imposto un blocco nazionale in anticipo rispetto ad altri Paesi. Ha bandito i viaggiatori provenienti dalla Cina all’inizio di febbraio 2020 e ha chiuso le frontiere a tutti i non residenti a metà marzo, quando si erano verificati soltanto pochi casi. Le politiche pubbliche messe in atto, da un lato, e l’isolamento geografico del paese, dall’altro, hanno permesso di eliminare completamente il virus dalla Nuova Zelanda. Questa prontezza decisionale ha permesso di rendere capillari il monitoraggio e i test anti-Covid al punto che il sistema sanitario non è stato sovraccaricato. I dati complessivi della Nuova Zelanda, infatti, sono sbalorditivi: 2618 casi, 2568 guarigioni e 26 decessi.
Il meaning-making è il mezzo attraverso il quale si costruisce una narrativa convincente, in grado di ispirare e mobilitare i cittadini e gli attori istituzionali. La credibilità politica della condotta della Ardern e il forte consenso che si è creato intorno alla sua persona hanno reso possibile la mobilitazione della cittadinanza rispetto ad uno sforzo collettivo utile per affrontare la situazione di crisi, ottenendo ovunque risposte positive e capacità di sacrificio per il bene pubblico. La Ardern ha scelto una comunicazione inclusiva e mai unidirezionale, costruendo una leadership gentile basata sulla fermezza e su una forte empatia con la cittadinanza. In questo modo è riuscita a conquistare la fiducia dei neozelandesi, convinti che la premier fosse sinceramente preoccupata e interessata ai bisogni delle persone. I neozelandesi non hanno dubbi: la Ardern non si limita a pontificare o “fare prediche” ma “sta con loro”, sta dalla loro parte e li supporta con tutti i mezzi che ha a disposizione. Un approccio empatico è stato mantenuto dalla Ardern anche quando la comunicazione si è fatta “dura” per annunciare che la vita quotidiana, come l’avevamo conosciuta fino ad allora, era finita. Ha invitato con coraggio ed enfasi tutta la cittadinanza a resistere, a rispettare la quarantena anche per un tempo lungo al fine di ridurre al minimo le occasioni di contagio.
L’accounting è il rendere conto di cosa è stato fatto per prevenire e gestire la crisi. Jacinda Ardern ha organizzato conferenze stampa regolari per spiegare la strategia del governo. Con i giornalisti ha continuato a dialogare alla pari, senza mai arroccarsi sulla difensiva, garantendo cosìun forte impatto comunicativo al suo messaggio. Le politiche pubbliche praticate dal suo governo sono state identificate dai cittadini come le “uniche” politiche possibili in Nuova Zelanda per affrontare la pandemia. La disintermediazione mediatica con i diversi pubblici di riferimento è stata garantita dall’organizzazione di Facebook Live e dall’utilizzo della chat Messenger. In questo modo, il dovere di “rendere conto” ha aggiunto alla sua leadership un racconto gentile e diretto. Un esempio? Durante il primo lockdown la premier si si è presentata in chat in collegamento dalla sua abitazione con addosso una felpa logora, dopo aver spiegato che aveva appena messo a letto la sua bambina e che quello era un classico abbigliamento da domicilio. Questo atteggiamento diretto e lineare ha confortato la cittadinanza sulla sua genuinità e sul suo approccio “dalla parte della gente”.
Il learning configura, infine, l’apprendimento che deriva dall’esperienza compiuta. L’approccio “go hard, go early” della Ardern è stato decisivo. Una leadership come la sua ha dimostrato che si può ottenere il consenso popolare con uno stile comunicativo sobrio e tranquillizzante e con una serie di messaggi chiari, forti e coerenti. Un sondaggio condotto nel mese di aprile 2020, la fase acuta della pandemia, ha rilevato che l’88% dei neozelandesi si fidava del governo e lo riteneva in grado di prendere le decisioni giuste per affrontare la pandemia.
Un caso di studio quello di Jacinda Ardern, che ha rappresentato l’ennesima prova di una leadership femminile solida che non ha bisogno di “maschilizzare” i propri tratti paradigmatici per sopravvivere e reggere le sollecitazioni di una cultura lavorativa nettamente improntata al maschile.