La politica raccontata con il linguaggio del calcio

di Francesco Napolitano

“La situazione politica in Italia è grave ma non è seria”. A volerla raccontare con Ennio Flaiano e provando a sdrammatizzare, anche se i motivi per farlo onestamente non sono molti, vale la pena di annotare come la descrizione della crisi di governo, coincisa guarda caso con il periodo di chiusura del calciomercato, abbia utilizzato spesso metafore provenienti dallo sport più popolare nel nostro Paese. E se lo spirito febbrile dei procuratori e delle società mira a scovare l’affare e a far quadrare la rosa prima del gong, la “campagna acquisti” condotta in ambito politico nelle ultime settimane è stata tutta finalizzata ad evitare la retrocessione del governo negli inferi di una crisi che si sapeva avrebbe portato i giocatori titolari ad un posto in panchina o peggio ancora in tribuna.

Per raccontare con un pizzico di ironia e disincanto una vicenda ai limiti della narrazione felliniana, Mentana nella sua “maratona” si è avvalso, tra le altre, della consulenza calcistica del guru del calciomercato Gianluca Di Marzio. Il quale parlando di vera e propria campagna acquisti ha sciorinato formule, tipologie contrattuali e clausole, rivelando così trattative in dirittura d’arrivo o al contrario destinate al fallimento. Per descrivere quella con i responsabili/costruttori (nel periodo in cui si rincorrevano i tentativi di Giuseppe Conte di tenere in piedi la maggioranza del suo secondo Esecutivo), la fantasia e la creatività dimarziana sono arrivate ad ipotizzare, ad esempio, il “fallimento della negoziazione con la senatrice Sandra Lonardo per problemi con il suo procuratore”, alias Clemente Mastella. È stato così che il racconto fanta-calcistico dell’impasse politica ha finito per suscitare nel pubblico reazioni contrastanti.

Si tratta di una forma di svilimento della politica? Si abbassa così l’alta funzione della politica sacrificandola sul piano dello storytelling e dell’uso delle metafore di gioco? Giovanni Floris ha fatto notare che “accusare i talk show di dare una certa immagine della politica è come prendersela col termometro quando si ha la febbre”. Altri, invece, hanno lodato la funzione ornamentale ed evocativa di questa particolare forma di comunicazione politica, la cui efficacia è volta a generare la “captatio” (non sempre “benevolentiae”) degli uditori. In un Paese che fa colazione, pranzo e cena con pane e pallone e che vive una partita sul rettangolo verde come se fosse una guerra (parola di Winston Churchill) le espressioni tipiche del linguaggio calcistico, adattate all’agone della politica, stimolano la partecipazione del destinatario, riportandole, come se fossero le “madeleine di Proust”, ai suoi frammenti di vita, alle esperienze e ai momenti vissuti in prima persona.

L’uso delle metafore calcistiche, una sorta di “Google Translate” catalizzatore della traslazione dalla dimensione politica a quella calcistica, consente dunque di semplificare concetti complessi e più o meno articolati, trasformandoli in nozioni ricorrenti nel gergo comune. L’entrata delle metafore calcistiche nel terreno di gioco della politica, attraverso l’uso di slogan e persino di sfottò, permette di rendere più comprensibili e familiari le stesse alchimie partitiche.

Dell’importanza di tale funzione evocativa hanno preso coscienza i commentatori intenti a raccontare minuto per minuto (inclusi quelli di recupero) la competizione politica, tra tentativi di resistenza e continui colpi di scena. Tra i telecronisti ed analisti politici, Francesco Giorgino (un veterano con l’occhio di Bruno Pizzul) durante la trasmissione Tv Talk in onda il sabato su Rai , ha affermato che “è fondamentale narrare la politica ricorrendo a registri comunicativi e codici linguistici capaci di raccogliere l’attenzione del pubblico per restituire il senso di alcuni passaggi tecnici attraverso modalità nuove e più fruibili”. D’altronde, una simile strategia comunicativa ben si sposa con l’obiettivo della Rai di rendere la politica pop persino sull’ammiraglia del servizio pubblico, come affermato dal direttore del Tg1 Giuseppe Carboni.

Nell’aderire a questa formula comunicativa potremmo rifarci alla trovata di Fazenda Italia della trasmissione “Quelli che il Calcio”. Potremmo così cimentarci con l’esperienza di uno “Stadio Camere Nazionali” in cui schierare la formazione possibile o quella probabile.

Volendo realizzare l’assunto di Platini in base quale “la politica, dovrebbe essere come la Nazionale di calcio nella quale a giocare dovrebbero essere sempre e solo i migliori”, la decisione di coinvolgere Mario Draghi si fa ancor più luminosa nella sua opportunità e lungimiranza. Ed è una decisione che si muove in contrasto tutto sommato con il principio “far di necessità virtù” espresso dal “catenacciaro” post-democristiano Bruno Tabacci il quale, parafrasando Boskov, si era preoccupato nelle scorse settimane di far squadra con i giocatori a disposizione o di dir messa con i frati presenti in convento.

In questa partita confusionaria e a tratti contradditoria spicca la figura dell’arbitro, Sergio Mattarella, il Collina della politica italiana, noto al pubblico per la maestria nel redarguire e richiamare quei giocatori protagonisti di interventi fallosi, prudente garante dell’equilibrio (costituzionale) da preservare in campo.

Lo hanno fatto preoccupare così tanto da essere stato costretto a mandare le formazioni sotto la doccia.

A questo punto, da sognatori che credono nella poetica del pallone al pari di Pasolini ci aspettiamo che arrivi finalmente il momento del gol. Che si palesino la giocata e l’invenzione del fuoriclasse. Un Diez! Un Pibe de Oro della politica! Un nuovo Maradona!

Signore e Signori sta per allacciarsi gli scarpini Mister Whatever it takes. Nelle tribune e nelle curve sono quasi tutti in piedi. Mario Draghi sta per fare il suo ingresso in campo. Il bello comincia ora.