La specializzazione conta ma la passione ancora di più

di Giovanni Lo Storto

Che i social network rappresentino una umanità sfalsata rispetto alla realtà non è una novità per nessuno. Capita spesso – troppo spesso, aggiungerei – di “lasciarsi andare” sui social commenti che non si farebbero nella realtà, ma che l’uso dello schermo tra interlocutori sembra, a torto, legittimare. Questa premessa, che certamente potrà essere articolata maggiormente dagli esperti del settore, è utile ad avviare una breve riflessione che scaturisce dal sempre meno episodico imbattersi in commenti anche particolarmente critici per spunti di ragionamento che si offrono su queste piattaforme: è sufficiente condividere uno stimolo, ad esempio sul futuro della formazione e sul ruolo, oramai mutato, della specializzazione per avere l’immediata occasione di registrare attitudini: la prima ancorata con fermezza al passato, e la seconda che prova a comprendere il cambiamento in atto e l’urgenza di operare presto insieme per migliorare ciò che verrà.

Il 2020, ormai ribattezzato “l’anno della pandemia”, ha portato innovazioni forzose che nella normalità precedente sarebbero diventate realtà in anni, se non in decenni. Come è noto, la scuola si è spostata online, il lavoro si è atomizzato in migliaia di postazioni remote e così via. Nuove prospettive, che naturalmente hanno portato alla luce le debolezze intrinseche di ciascun sistema, offrendoci anche l’opportunità di valutare cosa migliorare.

Non è questa la sede per ragionare su cosa si buono, cattivo o migliorabile. Possiamo però valutare in modo critico il nostro approccio da un anno all’altro, facendo tesoro di quanto p accaduto e lanciando uno sguardo al futuro, al ritorno alla “normalità”. Ma quale normalità? Quella che avevamo pre-pandemia? Oggi si parla spesso di resilienza come di una situazione che ci consente di migliorare e migliorarci. Nella fisica dei materiali, però, resilienza descrive come un materiale, sottoposto a pressione, sia in grado di tornare nel suo stato originario al termine di questo processo. Siamo sicuri che è questo ciò che vogliamo? Essere resilienti o essere migliori?

Le scarpe che useremo nella nuova normalità sono importanti. Fare un trekking con i tacchi a spillo è, infatti, inopportuno, non solo pericoloso. Così come pensare di affrontare il post-pandemia auspicando di replicare il passato un errore metodologico oltre che storico.

Non c’è dubbio che ciò che verrà dopo, qualunque forma assuma, sarà completamente diverso da ciò che avevamo prima. Probabilmente sarà migliore, un better normal. Non sarò solo “futuro” ma piuttosto un “nuovo presente”. Qualunque siano i contorni che assumerà, dovremo approcciarlo con lenti nuove. Secondo Alan Kay, è la tecnologia tutto ciò che viene inventato dopo la nostra nascita. E, sproposito di lenti nuove, gli occhiali stessi sono una forma di tecnologia che nel passato rappresentava una innovazione assoluta, mentre oggi costituiscono la normalità per molti di noi. Così come oggi tutto ciò che è innovativo, disruptive, sensazionale, tra non molto sarà quotidianità.

Anche nella formazione assistiamo a una importante disruption che diventerà il nuovo modo di fare scuola. Per quanto i critici più strenui possano insistere, è indubbio che i tre a livello globale mostrano come sia finita l’era della iperspecializzazione, o meglio, l’era della esclusiva specializzazione. Stiamo registrando, infatti, una progressiva fusione di nuovi specialisti e generalisti. Chi si iscrive oggi all’università deve essere consapevole che conoscerà tra pochi anni un mondo del lavoro diverso da quello di oggi. Per questa ragione, si sta facendo largo la consapevolezza che è più importante formarsi in modo orizzontale, multidisciplinare piuttosto che verticalizzare eccessivamente la propria formazione in percorsi di esclusiva specializzazione. Per richiamare David Epstein, diventando generalisti, non solo specialisti.

Non c’è nulla di negativo nell’essere specialisti. Al contrario. è importante presidiare un campo ben definito di azione che ci dia gioia e dal quale spaziare in altri settori. E’ però ancora più importante seguire le proprie passioni: studiare ciò che più ci piace, dimenticando l’idea che con un percorso di studi piuttosto che un altro sia più facile trovare lavoro. Dovremo decidere, dunque, se continuare ad essere verticali, iperspecializzati in campi che verosimilmente cambieranno molti contorni, oppure espanderci verso una formazione orizzontale, più larga.

Possiamo ignorare gli eventi di questi due anni, immaginandoli come un buoco nella storia. E in tanti, sui social media e non solo tendono a scegliere questa via, ignorando ad esempio i trend formativi. La scuola è cambiata enormemente in questi mesi. Abbiamo sperimentato la Didattica a distanza e visto dove ha funzionato e dove meno. La digitalizzazione, poi, ha acuito alcune differenze, ma la presenza di un schermo ha anche aiutato molti studenti a vincere la propria timidezza, a intervenire più frequentemente e attivamente durante le lezioni più di quanto avrebbero fatto prima. Abbiamo visto la flessibilità formativa farsi largo rispetto al vecchio concetto di “studia questo o quello er avere un buon lavoro dopo”. Il dopo si costruisce oggi, e richiede necessariamente passione.

Dobbiamo cogliere le innovazioni di questo tempo e portarle avanti, migliorandole. Ad esempio, sfruttando la flessibilità che ci offre il lavoro agile, trasformando il tempo recuperato in maggiore produttività da un lato, ma in “spazio” da dedicare alla propria famiglia dall’altro. Molte aziende stanno abbracciando questa sfida, con un nuovo patto di fiducia verso i propri dipendenti che rafforza legami e relazioni e crea nuove infrastrutture sociali ed emotive.

L’approccio che vincerà determinerà la bellezza del nuovo presente, la qualità delle nostre relazioni e la nostra capacità di adattamento e di reazione. Senza nostalgia di un passato che è già facile idealizzare che rivivere. Quello che ci aspetta aprirà nuove incredibili potenzialità. Avremo la possibilità di vedere con i nostri occhi la trasformazione che questi anni hanno portato nella nostra vita. Dobbiamo il successo di questa sfida ai nostri figli e nipoti che in poco tempo hanno visto un mondo stravolto e a loro sconosciuto, ma in cui hanno saputo navigare, forse meglio degli adulti. Non in modo resiliente, ma in modo adattabile e flessibile. In modo nuovo e, senza dubbio, migliore.

(Articolo pubblicato su il Corriere della Sera, il 24 maggio 2021)