L’ars imitandi nella politica
di Francesco Napolitano
Italiani un popolo di poeti, artisti e… imitatori.
Ieri 27 marzo si è celebrata la giornata mondiale del Teatro. Con un atto di coraggio e di speranza immaginiamo di tranciare i lucchetti e riaprire le sale, di riempire i loggioni e di riavvicinare la platea al palcoscenico, calcato per l’occasione da una serie di comici noti al mondo dello spettacolo italiano. E non solo. Comici che, sordi al richiamo di Fedro per il quale il debole quando vuole imitare il potente va in rovina, danno il via ad una serie di imitazioni dei politici rimaste nella memoria collettiva, finendo addirittura per identificarsi agli occhi del pubblico con il politico di riferimento, confuso nei suoi comizi e nelle sue comparse pubbliche col suo imitatore.
Spinti da ciò che aveva Carl Gustav Jung, secondo il quale la società è organizzata non tanto dalla legge quanto dalla tendenza all’imitazione, siamo ancor più motivati nel mandare in scena una fantasiosa ed ipotetica rappresentazione che vede i nostri interpreti nell’atto di imitare la politica.
I teatranti si cimenteranno nel faticoso compito di raccontare e canzonare i politici nel loro accento e nella loro pronuncia, nei loro tic e nella loro gestualità, nei loro vizi e nelle loro abitudini, ammoniti da Salvador Dalì per il quale quelli che non vogliono imitare qualcosa non producono nulla, ma anche guidati dalle preziose indicazioni annotate sul copione da Marshall Mcluhan.
Non dimentichiamo infatti che per il noto sociologo e filosofo canadese nella comunicazione conta l’idiomatico, in quanto più sei o appari unico, più l’attenzione del ricevente resterà su di te. Tutto ciò, considerato che l’immagine, il tono, lo sguardo, il gesto e l’insieme di tutta la comunicazione paraverbale, danno informazioni che spesso vengono recepite prima del contenuto, in alcuni casi arrivando perfino ad offuscarlo.
In questa immaginifica carrellata di imitazioni, nell’ordine di comparsa diamo precedenza ad Alighiero Noschese, padre degli imitatori e genio assoluto dello spettacolo, compagno di giochi benvoluto dagli spettatori italiani e reclamato dai politici tutti, i quali avrebbero fatto carte false pur di essere da lui imitati per acquisire maggior visibilità e non essere considerati esponenti di secondo piano.
Nelle sue poliedriche imitazioni, caratterizzate da battute pungenti e da una satira sottile e mai volgare, celebre è la pantomima di Andreotti, fotografato mentre assiste agli eventi con “serena serenità” e colto in difficoltà nella formazione del governo “perché al centro c’è troppo traffico”. Rappresentazione così perfetta da confondere la madre del Giulio originale, la quale sgridò il figlio “per essersi permesso di andare a cantare in tv”.
Andreotti, coerentemente col suo mantra “nel bene e nel male, purchè se ne parli” è stato un soggetto caro anche ad altri mostri sacri del mondo delle imitazioni, come gli attori della compagnia del Bagaglino. Il Divo Giulio, tra i tanti episodi, è stato raffigurato da Oreste Lionello, in un simpatico dialogo al Salone Margherita che ha visto da un lato l’Andreotti falso affermare di “prendersi in giro da solo in quanto gli altri non ci riescono con lui”, dall’altro l’Andreotti vero rispondere che è importante sapersi prendere in giro per non darsi delle arie e per non credersi superiore.
A tale modello di sketch probabilmente si è rifatto Maurizio Crozza che, sulle note di Wonderful di Paolo Conte, si è travestito da Bersani dando il là ad una celebre gara live di metafore col Bersani vero, arrivando addirittura a correggerlo nel momento in cui lo stesso non ha pronunciato il famoso “oii ragaasssiiii” nel corretto modo in cui il Bersani originale lo avrebbe pronunciato.
Il comico emiliano, imitatore fra tanti di Razzi, Monti, Renzi e Berlusconi, ha addirittura costretto un ridente e divertito De Luca ad autocensurarsi e a mordersi la lingua, dopo averlo decantato scherzosamente quale portatore della cultura greca in Campania ed averlo innalzato ad ultimo eroe della sua terra dopo Maradona.
La fantasia si è spinta oltre con Sabrina Guzzanti, maestra del travestimento, che ha mandato in onda un’intervista doppia D’Alema-Berlusconi (dalla stessa contemporaneamente imitati), in cui sottopone i due leader ad una serie di quesiti sulle loro più grandi emozioni, sul loro incontro con la politica, sul loro maggior rimpianto, arriva alla fine a scoprirli quali uno migliore amico dell’altro, entrambi reo confessi di aver fatto insieme l’amore in Bicamerale.
Imitazione vizio di famiglia fra i Guzzanti, considerato che Corrado ha imitato una sfilza di politici fra i quali un Bertinotti impegnato nel creare migliaia di microscopici partiti comunisti, un Bossi urlante, un Prodi sornione ed un Di Pietro in versione dialettale.
Come non citare in questo carrellata di imitazioni e di imitatori Dario Ballantini, poliedrico artista che da stimato pittore ha reso il suo viso come una tela, dipingendo su di sé i tratti caratteristici dei politici, facendo tesoro dell’assunto di Paul Cezanne, per il quale dipingere non è copiare servilmente un dato oggettivo, ma cogliere un’armonia fra rapporti molteplici, trasporli in una propria gamma, sviluppandoli secondo una logica nuova e originale. L’artista toscano, nel rincorrere i politici nei pressi di Montecitorio, ha rotto letteralmente il muro, portando le sue imitazioni per strada, mettendo in luce l’aspetto goffo e buffo di tutti i suoi personaggi senza fare sconti a nessuno, nel rispetto così pieno della par condicio che a nessuno ha mai dato fastidio la sua imitazione.
Ultimi in ordine di copione ma non per importanza sono Virginia Raffaele, che ha ammesso di mandare in scena parodie più che imitazioni, e Neri Marcorè tornato alla ribalta per aver portato in scena i 2 premier, Conte I e Conte II, in un confronto inusuale in cui, messi alle strette da un lungo interrogatorio, i 2 Conte danno conferma dell’accusa di sdoppiamento di personalità e di aver cambiato completamente identità nell’arco di due ravvicinatissime legislature. Notevole anche la sua imitazione di Draghi.
Calato il sipario, è arrivato il momento di tralasciare per un attimo la dimensione giocosa della nostra rappresentazione, per andare alla ricerca di un epilogo che si concentri sul ritorno mediatico delle imitazioni e sugli effetti che le stesse hanno prodotto sull’appeal dei politici.
Così sottoponiamo il pubblico pensante ad una serie di domande la cui risposta non è affatto ovvia, portando con sé una serie di dubbi e risvolti che, usando il gergo politichese, sono ancora in ballottaggio tra loro.
Più i politici vengono imitati e derisi più aumenta la loro popolarità?
La satira enfatizza solo la portata di un personaggio rendendolo più conosciuto o, grazie alla popolarità ed al successo istantaneo delle imitazioni, è in grado anche di spostare anche voti e accrescere il consenso?
Il replicare in modo maniacale la voce ed i suoi acuti divertendosi con S ed R mosce, il ripetere quasi con fanatismo espressioni del “face language”, quali il roteare gli occhi o il porsi gli occhiali in modo compulsivo sul naso o ancora l’assumere gli stessi precisi atteggiamenti di chi si stringe nelle spalle o pone meccanicamente le braccia conserte, rendono più simpatico e familiare il soggetto-oggetto dell’imitazione, o costituiscono un’arma a doppio taglio in grado di mettere a nudo i limiti, i difetti e gli aspetti più vulnerabili e profondi dell’imitato?
L’imitato minacciato dallo sguardo penetrante del suo imitatore, potrebbe tuttavia trovare una via di fuga nella salvifica funzione pedagogica dell’imitazione. Quale comportamento primordiale che svolge un ruolo fondamentale per comprendere le azioni altrui e successivamente metterle in atto, l’ars imitandi non è forse un atto di deferenza e di ammirazione? Per dirla con Loretta Goggi “l’imitazione non è forse un omaggio”?
La risposta a tutti questi quesiti è aperta, ma in accordo con Dario Fo, possiamo certamente nutrire una granitica certezza: un popolo senza satira e senza ironia è un popolo morto!