L’eterna giovinezza della radio

di Angelo Terracciano

“Il video non ha ucciso le star della radio”, osserverebbero oggi con stupore gli autori del celebre brano musicale. Questa battuta fin troppo semplice è stata utilizzata spesso in letteratura per spiegare le dinamiche di innovazione e conflitto tra media, portando sulle spalle il fardello della critica verso i media digitali e insieme del fatalismo verso quelli tradizionali, secondo un approccio duale che ha caratterizzato una fetta non irrilevante della riflessione culturale sul tema.

Umberto Eco diceva che nessun medium distrugge il medium precedente, ma lo trasforma profondamente. In un saggio del 2011, pubblicato all’interno di Neogiornalismo, Antonio Preziosi scriveva che la radio è “in grado di cavalcare l’innovazione, senza perdere la sua capacità di stupire, né la sua capacità di integrarsi profondamente con le nuove tecnologie”.

La natura dinamica del mezzo radiofonico gli ha permesso di conservare alcune qualità fondamentali: la capacità di ricoprire il ruolo di certificatore dell’informazione – tanto più rilevante nell’attuale scenario – insieme a quello di vettore di democrazia, grazie alla sua immediatezza comunicativa e all’accessibilità che garantisce.

Sono stati diffusi nei giorni scorsi i risultati di un’indagine del Censis dal titolo “La transizione verso la radiovisione”. Nell’offrire una nuova cornice interpretativa a questa nuova modalità di fruizione, il Rapporto evidenzia che la transizione della radio verso la dimensione visual va collocata in uno scenario di ampia trasformazione digitale dell’intero sistema della radiofonia. Proviamo quindi ad evidenziare alcune tendenze emerse dall’indagine, sia sul fronte dell’offerta di contenuti, sia sul fronte della domanda del pubblico (o meglio ancora dei pubblici, considerata l’elevata eterogeneità che si rileva oggi nelle abitudini di ascolto).

La riscoperta della radio domestica

In un anno che rischiava di essere segnato esclusivamente in negativo dalle limitazioni della mobilità – ancora oggi circa due terzi degli ascolti totali provengono infatti dalle autoradio – si è invece creata l’opportunità per un consolidamento delle strategie di comunicazione multicanale. Grazie ad esse ciascun ascoltatore ha potuto soddisfare il proprio fabbisogno di informazione e intrattenimento attraverso i diversi device disponibili nell’ambiente domestico (tv, pc, smart speaker, ecc.).

Tra i dati più significativi osserviamo che “durante il primo periodo di lockdown il 30,5% degli italiani si è aggiornato almeno una volta al giorno sulla pandemia e sulle regole da rispettare attraverso programmi radiofonici”. Più in generale, se escludiamo il calo di oltre 2,4 milioni di ascoltatori da autoradio rilevato da TER nel secondo semestre del 2020 (rispetto allo stesso periodo del 2019), la crescita media dell’ascolto sugli altri dispositivi si attesta intorno al 7%. Questi dati rendono ormai evidente lo spostamento del focus che osserveremo nel prossimo paragrafo.

Dal mezzo ai contenuti

Tra i dati rilevati dal Censis ce n’è uno particolarmente interessante dal punto di vista semantico: in risposta alla domanda “Se dico radio a cosa pensa?”, soltanto il 40,6% degli intervistati nomina l’apparecchio fisico di ricezione; il restante 59,4% associa invece alla parola radio un insieme di contenuti e programmi fruibile in più contesti mediali (tv, pc, smartphone, smart speaker).

Più di ogni possibile evoluzione nelle tendenze di ascolto, questo dato dimostra la capacità della radio di evolversi ed estendere il proprio senso culturale ben al di là dei limiti imposti dalle singole tecnologie. Come sottolineato dal rapporto Censis è proprio la multicanalità a richiedere un approccio comunicativo differenziato, secondo una logica che Henry Jenkins definirebbe di convergenza mediale, e un adattamento dei significanti alle regole di ciascun medium, secondo un approccio crossmediale o transmediale.

Ai programmi e alle trasmissioni tradizionali si aggiungono quindi tutti i contenuti che alimentano il flusso comunicativo, tra i quali spicca – come si intuisce dal titolo del rapporto Censis – la radiovisione.

 

La Visual Radio è arrivata per restare

Il “piatto forte” del Censis riguarda proprio questa particolare proposta editoriale, rappresentata come una delle tendenze di maggior successo e con le maggiori prospettive di crescita. Nel più ampio contesto – accennato sopra – della crescita del consumo radiofonico su altri dispositivi, il Rapporto evidenzia che 19 milioni di italiani guardano la radio attraverso i vari device sui quali sono resi disponibili i contenuti. A conferma di ciò, il 52,1% degli intervistati dichiara che apprezzerebbe un aumento dell’offerta radiofonica in modalità video, considerandolo un’ulteriore opportunità di contatto nelle diverse circostanze della vita quotidiana.

Se esistono senza dubbio delle differenze strategiche tra i player che hanno integrato pienamente la radio nel mezzo televisivo (ovvero la radiovisione in onda sul Digitale Terrestre) e player che invece hanno visto nel prodotto video un’opportunità di abbracciare la digitalizzazione, consolidando la propria presenza tra web e social, tali differenze diventano ben più sfumate sul piano dell’offerta editoriale e quasi scompaiono se si osserva il modo in cui il prodotto video ha aiutato la radio a mantenere lo scettro di più social tra i media.

L’interazione è un fattore costitutivo

Che la radio sia il più socievole tra i mezzi di comunicazione non è forse una grande scoperta. Basterebbe pensare alla tradizione più che cinquantenaria del 3131 di Rai Radio, ma i meccanismi d’interazione in tempo reale hanno ormai permeato in profondità la cultura produttiva e la community degli ascoltatori, a livello nazionale come a livello locale.

A conferma ulteriore di questa solida base relazionale, il Rapporto Censis evidenzia che il 63% degli ascoltatori ha attivato almeno una forma di interazione con l’emittente radiofonica. Questa percentuale è composta in maniera piuttosto assortita dalle diverse opportunità di contatto messe a disposizione dalle radio, ma possiamo individuare tre macroaree di interazione:

  • Navigazione degli ambienti online (sito web, profili social)
  • Fruizione ex post di contenuti (estratti video, programmi on demand, podcast)
  • Attivazione di meccanismi di dialogo (in messaggistica diretta o negli ambienti web)

Utilizzando i tre ambiti evidenziati sopra come una mappa concettuale, proviamo quindi ad identificare le dimensioni chiave della transizione digitale della radio.

Sul piano strutturale è sempre più diffuso l’utilizzo di siti web e app user-friendly, con un’attività sui social sempre più integrata all’interno di processi editoriali strategici e responsive rispetto alla grande quantità di feedback che la Rete è in grado di offrire.

Sul piano editoriale cominciano ad essere chiari i valori aggiunti dati dalla multicanalità, ottenuti mediante strategie che prevedono una maggiore integrazione tra offerta tradizionale e contenuti costruiti adottando una logica non lineare, sia nativa (podcast, prodotti audiovisivi extra), sia derivativa (estratti dalla programmazione).

Sul piano relazionale non è più sufficiente, come detto sopra, essere responsive nei confronti del pubblico già consolidato. C’è tanto lavoro da fare, specialmente se consideriamo un contesto competitivo allargato fatto non solo dagli altri media tradizionali, ma anche e soprattutto dal continuo emergere di nuovi prodotti culturali realizzati dai cosiddetti OTT.

Alcuni spunti per la radio del futuro

Secondo il Rapporto Censis, il 44,7% degli intervistati non sa cos’è la radiovisione, così come uno studio Nielsen del 2019 scopriva che il 49% del proprio campione non aveva mai sentito parlare di podcast. Se pensiamo all’impatto disruptive che hanno avuto i nuovi servizi di streaming, ma soprattutto ad esperienze recenti come TikTok eClubhouse, ci rendiamo conto che c’è una grande domanda di contenuti che la radio può soddisfare, valorizzando la qualità dei propri processi produttivi, delle autorialità di cui dispone e dell’autorevolezza che le viene tradizionalmente riconosciuta.

Superata la classica dinamica conflittuale che ha caratterizzato i media tradizionali e digitali a cavallo tra i due secoli, la resilienza della radio – che in Italia si avvicina ormai al secolo di vita – va quindi misurata in relazione al contesto competitivo allargato e alla capacità del mezzo di rimanere certificatore di verità, in un ecosistema mediale sempre più caratterizzato dal disordine informativo.

Marshall McLuhan scriveva che la radio, come tutti i media precedenti e successivi, ha dato forma alla comunicazione e alle strutture sociali del proprio tempo. In questo nuovo scenario, che mira al confronto e al dialogo, alla disintermediazione e alla secolarizzazione, ma anche all’integrazione organica tra mezzi diversi, è fondamentale individuare gli elementi giusti per costruire una narrazione in grado di continuare a generare comportamenti virtuosi – come già teorizzava Mario Morcellini nel suo Mediaevo – e continuare così a contribuire al progresso della società.