Modernità e postmodernità: come cambia il comportamento elettorale in Italia

di Federica Gargano

Il passaggio dalla modernità alla postmodernità in Italia, applicato al macro ambito della politica e, in modo più circoscritto, al micro ambito delle campagne elettorali, segna importanti cambiamenti che risultano essere le naturali conseguenze di mutamenti sociali, politici ed ideologici. Mutamenti che inevitabilmente si manifestano al susseguirsi di nuovi cicli storici. E’ nel transito tra le due condizioni antropologiche, storiche e culturali che bisogna comprendere il senso delle trasformazioni delle dinamiche appartenenti alle campagne elettorali italiane.

Esse, infatti, rappresentano un grande momento di competizione fra i vari candidati, presentati sulla scena politica e nella società. Quest’ultima, quale elemento principale che subisce le campagne elettorali, deve essere studiata e interpretata a fondo per comprenderne gli interessi e i bisogni. È necessario, quindi, osservare come la società pensa e si orienta in termini politici, tenendo sempre in considerazione la variabilità del tessuto sociale, influenzabile, soprattutto, da momenti ed eventi circostanziali.

Nella modernità è facile constatare, pertanto, una massiccia presenza dei partiti quali maggiori fulcri di accentramento del potere politico e quali catalizzatori capaci di influenzare le masse. Ad un partito corrisponde un pensiero ideologico radicato e strutturato, che delinea una dimensione identitaria precisa, funzionalmente vicina ad una classe sociale di appartenenza, con cui si crea uno stretto legame di affettività personale. In tal senso, l’elettore subisce il fascino ideologico del partito che considera come più prossimo ai suoi interessi ed attento ai propri bisogni. I partiti, strumentalizzando l’ideologia, assolvono a quella funzione pedagogica necessaria al singolo individuo che vive la modernità.

Questa visione generalizzata delle campagne elettorali moderne muta profondamente con l’avvento della postmodernità, poiché a trasformarsi è sia la società, ormai proiettata verso la dimensione della globalizzazione, sia i mezzi di diffusione delle informazioni e la comunicazione stessa. Si verifica, in tal senso, un decentramento partitico a favore di una rilevanza inconfutabile del singolo attore politico. La secondarietà e, quindi, la quasi totale subordinazione dei partiti rispetto ai leader politici è da considerarsi come il più evidente mutamento nel passaggio fra modernità e postmodernità sulla scena politica e nelle campagne elettorali.

Nelle campagne elettorali moderne, ovvero quelle che hanno riempito la scena politica dagli anni Sessanta fino agli anni Ottanta, data la centralità partitica, la costruzione dell’immagine politica è stata fortemente legata alle logiche del partito. L’utilizzo della radio, come mezzo comunicativo, è stato fondamentale per tutto il corso della modernità, fino all’arrivo della televisione. Quest’ultima, in qualità di strumento di diffusione della comunicazione di massa, ha avuto un peso rilevante nella strutturazione e diffusione della comunicazione politica, che si è adeguata, pertanto, alle nuove dinamiche comunicative.

In questo contesto, la logica mediale ha fatto il suo ingresso nelle campagne elettorali. Gli stessi partiti politici si sono serviti della televisione, organizzando la loro propaganda e le loro strategie comunicative intorno ai soundbites. La peculiarità di tale linguaggio comunicativo, largamente utilizzato nell’arena politica, è riscontrabile nella brevità combinata alla retorica. Questa unione ha il merito di aver fatto emergere un tipo di comunicazione che si lega ed adatta perfettamente ai tempi televisivi, rispondendo al bisogno di incrementare il coinvolgimento e l’attenzione del pubblico.

Tuttavia, la maggiore visibilità dei partiti, fornita dal mezzo televisivo, ha evidenziato l’effettiva mancanza di appropriate e solide strategie comunicative. Questo elemento ha contribuito ad una certa volatilità nelle preferenze di voto. Una tale volatilità è da ricondurre, anche, ad una maggiore informatizzazione dello strato sociale ed ad un cambiamento interno alla società stessa, che risulta più composita.

A partire dagli anni Novanta, le preferenze di voto mutano radicalmente in virtù di quella determinata personalizzazione che avviene nella politica. La subordinazione partitica si compie a seguito del maggiore spazio politico e mediatico concesso al singolo attore politico, che diventa leader del suo partito e nella scena politica e sociale. Il comportamento dell’elettorato cambia, di conseguenza, perché mutano le condizioni che originariamente orientavano il voto.

Nella postmodernità, ciò che incide nelle preferenze elettorali non dipende tanto dalle ideologie, che sempre rimangono seppur fortemente ridimensionate, ma dalla reputazione e dalla credibilità politica del singolo candidato. Le campagne elettorali diventano, di fatto, un fattore personale e l’attenzione dei media è tutta incentrata sulle figure dei leader. La comunicazione politica risulta più persistente e durevole nel tempo e, conseguentemente, la campagna elettorale si trasforma in permanente, non più, quindi, consumata in un tempo circoscritto come avveniva nel contesto della modernità.

La permanent campaigning è resa possibile dalla centralità del mezzo televisivo applicato alla politica. Interviste, presenze dei leader politici nei talk show e celebrità, che intervengono a sostegno dei leader politici favoriti, incrementano la spettacolarizzazione della politica. La politica della postmodernità tenta, dunque, di instaurare un continuo contatto con i cittadini con l’unico scopo di creare un legame con il pubblico e, quindi, ottenere i consensi soprattutto di coloro i quali vengono definiti floating voters.

A questo punto, è lecito domandarsi: come fa un leader politico ad acquisire e mantenere credibilità e fiducia?

La notevole esposizione mediatica a cui il leader politico è costantemente sottoposto all’interno della campagna permanente può risultare un rischio. Inoltre, le stesse leadership politiche sono messe in continua discussione, sperimentando effimeri cicli di popolarità, che portano ad altrettanti aleatori consensi. Come affermano Gili e Panarari ciò che serve al leader politico, quindi, è trovare la cosiddetta ‘‘radice affettiva della credibilità’’, poiché è dalla vicinanza emotiva e affettiva con il singolo elettore che è possibile creare condivisione ed empatia. Comprendere l’importanza di questo elemento rende più semplificato il tentativo di instaurare e mantenere credibilità e fiducia.

Nel passaggio dalla condizione moderna a quella postmoderna, le campagne elettorali hanno concretamente subito una riformulazione concettuale e pratica. Tutto ciò è avvenuto a seguito della crescente esigenza di doversi in qualche modo adeguare ad un contesto diverso, per l’appunto, quello postmoderno, che ha stravolto il comportamento elettorale e ha creato le condizioni per un nuovo modo di pensare e ‘‘fare politica.’’