Napoli corre per le amministrative: tra primorepubblichismo e postmodernità
di Domenico Bonaventura
Si sta accendendo la competizione che incendierà l’estate di Napoli, fino a culminare nelle amministrative del prossimo autunno.
I contendenti a Palazzo San Giacomo sono cinque. Da Alessandra Clemente, vice dell’uscente De Magistris – che a sua volta ha dirottato sulla Calabria le proprie mire -, ad Antonio Bassolino, già due volte sindaco e poi presidente di Regione; dall’ex ministro dell’Università Gaetano Manfredi, al magistrato anticamorra Catello Maresca, regista della cattura di numerosi criminali, specie nella zona casalese. Fino a Sergio D’Angelo, ex assessore comunale (2011-2013) e candidato indipendente.
Ciascuno dei candidati, sostenuto e guidato dai rispettivi consulenti e spin doctor, ha già dato chiara dimostrazione di come voglia impostare la propria campagna elettorale. In generale, però, possiamo distinguere due tipologie, due scelte, due binari su cui gli aspiranti “primo cittadino” si stanno muovendo.
La campagna elettorale classico-moderna e la campagna elettorale post-moderna.
C’è uno dei candidati che, per storia e formazione politica e generazionale ha scelto di impostare una campagna elettorale classico-moderna, a dire la verità più classica che moderna, sempre volendo rimanere vincolati al piano diacronico. Antonio Bassolino sta infatti girando la città, fermandosi in alcune realtà iconiche, ora operose, ora da recuperare. Lo sta facendo con un metodo che unisce “primorepubblichismo” e postmodernismo. Ovvero i due elementi della campagna classica – comizi pubblici e contatto con i cittadini – a cui si affianca il “ribaltamento” dei contenuti sulle pagine social. D’altra parte, non si può far finta di non vivere nella platform society (Van Dijck, De Waal, Poell, 2018). Sembra un po’ la riproposizione del modello TRT che Giorgino (2020) ha coniato per descrivere il percorso standard dell’attività comunicativa di Salvini. Non a caso, il leader della Lega è considerato il politico più aderente alla Prima Repubblica, da questo punto di vista. Strette di mano, selfie, contatto fisico con i sostenitori. L’ultimo di questi elementi può essere visto anche come contemporaneo momento di ascolto delle istanze della cittadinanza.
Ma mentre Salvini parte dalla tv per poi spostarsi in rete e finire sul territorio, il percorso di Bassolino sembra opposto: partire dal territorio per arrivare alla rete, passando per radio o tv.
I comizi vengono spesso impostati “alla pari”: senza palco, addirittura sovente senza microfono. Chi parla si pone allo stesso livello di chi ascolta. Gesto parecchio simbolico, che ha un significato preciso e un significante molto forte – che emerge soprattutto dalle immagini che poi vengono pubblicate – e che crea continuità con un aspetto molto pregnante delle precedenti esperienze istituzionali di Bassolino: la volontà di dare ai cittadini la percezione di essere “uno di loro”. Tuttavia, non manca la scelta di un’adunata, di un comizio organizzato. Il luogo scelto è la storica Piazza Carità, in pieno centro. Siamo dunque di fronte a una campagna elettorale di un politico che attinge molto al passato anche per ciò che riguarda i rituali della politica (Dayan-Katz, 1993). Con i napoletani ha sempre avuto un rapporto fisico e sentimentale, per cui ricorrere a questo tipo di comunicazione è una cosa che gli viene naturale.
Dall’altro lato, la campagna elettorale postmoderna, basata sulla “politica veloce” e su cicli di notizie attivi h24 (Cacciotto, 2019), la stanno giocando Maresca e Manfredi, l’un contro l’altro armato. “Postmoderna” sia per i contenuti che, di conseguenza, per le modalità di comunicazione. Una decina di giorni fa, Manfredi si è dichiarato tifoso della Juve. Un’autorete? Presto per dirlo. Forse non sposta granché in termini di consenso ma l’outing sportivo in una città come Napoli può modificare il clima che viene a crearsi intorno al candidato. Maresca, dal canto suo, ha ribattuto dicendosi pronto a negoziare la carica di sindaco con lo Scudetto degli azzurri. Temi postmoderni perché polarizzanti e velocissimi da consumare e bruciare (questo un po’ meno, visto che se ne parla ancora), per lasciare il posto a nuove issues con le stesse caratteristiche.
Una scelta quella di Manfredi che dal suo staff hanno provato a correggere: nel corso della recente visita del leader del M5S Giuseppe Conte, al candidato è stato infatti donata una maglia del Napoli, immagine che proprio i suoi spin doctor hanno provato a riprendere e diffondere in una sorta di product adjustment “benedetto” dal nulla osta dell’ex presidente del Consiglio, immortalato con la iconica maglia numero 10 di Maradona.
Si può dire che la diatriba originata e sviluppata dalla fede calcistica dell’ex ministro e che ha poi coinvolto il magistrato (in aspettativa) faccia di ciascuno dei due un MOC, ovvero un Market Oriented Candidate, in una sorta di ipotetica traslazione ai contendenti del modello elaborato da Lees-Marshment (2001) per i partiti.
Non soltanto, perché da questo duello – poco politico e più calcisticamente mistico – emerge anche un ulteriore aspetto delle campagne di questi due candidati: è il “noi contro loro”, l’individuazione di un nemico – che l’uno ha evidentemente identificato nell’altro – per cementare le proprie truppe, presentare loro un rischio da evitare, motivandole all’appoggio, magari attivo. Un modo per cercare il “consenso abilitante” (Giorgino, 2021) prima di quello confermante.
Tuttavia, al di là di questi elementi, sia Manfredi che Maresca presentano una peculiarità ben evidente: stanno parlando molto in qualità di ciò che sono stati e sono, evitando cioè di costruire “un altro da sé” da trasporre nell’agone politico. Ciò, probabilmente, vale sia per il primo forte della sua esperienza di Rettore e di Ministro dell’Università, sia per il secondo, un magistrato la cui essenza è delineata da anni e anni di battaglie anticamorra (protagonista anche di documentari sulla cattura di pericolosi criminali). Un tratto distintivo anche della sua campagna.
Una campagna molto civica e poco politica. Per paradosso, pur scelto convintamente dai partiti, Maresca risulta infatti il candidato probabilmente più slegato da questi ultimi, e proprio su questo egli sta facendo leva per lanciare ami in altri mari. Il civismo spesso non è che una modalità per attrarre elettori che altrimenti mai voterebbero certi partiti. Il magistrato, dunque, anche attraverso uscite sui giornali in cui si sottolinea il dialogo con esponenti di area opposta, sta provando ad attuare la tecnica del “target nel target”, andando cioè a segmentare l’elettorato, colpendo micro segmenti di elettori all’interno di un bacino che al contrario gli sarebbe politicamente ostile. Un artificio del marketing politico che trova terreno fertile nel concetto di defidelizzazione (Bartolini-D’Alimonte, 1995) e che denota il carattere postmoderno della sua campagna.