Negli Usa anche il Chief of Staff del Presidente comunica. Il caso di Ron Klain

di Fabio Massoli

Non tragga in inganno il ricordo ancora nitido della cerimonia di insediamento del 20 gennaio scorso perché in realtà è già trascorso un bel po’ dalla soleggiata giornata di Capitol Hill nella quale il ticket Biden-Harris si è insediato alla Casa Bianca: un lasso di tempo nel quale la nuova amministrazione ha fin da subito messo in chiaro la volontà di non perdere nemmeno un minuto in chiacchiere e procedere speditamente per fronteggiare le numerose sfide dovute all’epocale crisi di carattere sanitario, economico e sociale. Il neopresidente ha firmato 34 executive orders, riportato negli Stati Uniti importanti accordi come il Paris Agreement sul clima, presentato le linee guida di politica estera e, soprattutto, ha lavorato alacremente con i leader del Congresso per far sì che si approvasse più rapidamente possibile il maxipacchetto di stimulus da 1.9 trilioni di dollari per l’emergenza Covid-19 (firmato sia alla Camera, sia al Senato ma con la cocente rinuncia dei 15 dollari di salario minimo proposti dal senatore del Vermont Bernie Sanders). Un avvio dell’attività presidenziale per certi versi inconsueto e frenetico che sta mettendo in secondo piano e sta rallentando gli iter di inizio mandato come la conferma delle nomine dei membri a capo dei vari dipartimenti ed uffici di gabinetto. Un procedimento, questo, tipico del sistema politico americano, attraverso il quale il Senato è tenuto ad accettare e ratificare coloro che il Presidente eletto propone nei ruoli ai vertici dei dipartimenti e interni al suo Ufficio Esecutivo (Executive Office of the President of the United States). Che questa non sia solo una semplice prassi lo testimonia il fatto che lo stesso Joe Biden ha dovuto incassare pochi giorni fa il primo sdeng del suo mandato (citando un tweet scritto a tal riguardo da Filippo Sensi, sempre molto attento alle dinamiche americane): la candidata a capo dell’Ufficio gestione del Bilancio Neera Tanden è stata infatti costretta a ritirarsi a causa di diversi suoi vecchi cinguettii, controversi e non troppo affettuosi, rivolti verso alcuni colleghi. Cinguettii che era evidente gli si sarebbero ritorti contro al momento della votazione. Questo stop ha ovviamente portato a molte critiche circa la leggerezza con la quale si è presentata una candidatura debole ed attaccabile, dietro alla quale c’è chi giura abbia giocato un ruolo determinante un suo caro amico ma soprattutto una delle figure più importanti all’interno della Casa Bianca: Ron Klain, il Chief of Staff del presidente.

Ronald Alan Klain, classe 1961 dall’Indiana, è stata la prima scelta presentata da Biden il 12 novembre scorso, quando ha annunciato agli americani che sarebbe stato lui il suo capo di gabinetto. L’attenzione verso questa nomina è dovuta al fatto che quella del chief of staff è una delle posizioni più autorevoli e potenti della politica statunitense, per certi versi molto più di quella del Vice Presidente. Egli infatti è a capo dell’intero Ufficio Esecutivo, composto da uno staff che comprende i membri che lavorano più a stretto contatto con il Capo di Stato; funge inoltre da “rappresentante” delle istanze del Congresso e dei vari dipartimenti con il Presidente, tenendo di fatto in mano le redini dell’agenda politica del Paese. Appuratane la delicatezza dei compiti assegnatigli, è interessante fare un rapido excursus storico sull’evoluzione di questa figura. Essa, per certi versi, è sempre stata presente nella storia politica americana a partire da George Washington, che decise di avere al suo fianco un segretario, anche se fu solo con James Buchanan nel 1857 che il Congresso creò un ruolo ufficiale chiamato “Segretario privato alla Casa Bianca”. Nel 1939, durante l’amministrazione di Franklin D. Roosevelt, furono poste le fondamenta del moderno ufficio della Casa Bianca: il Parlamento approvò infatti la creazione dell’Ufficio Esecutivo del Presidente, il quale doveva fare riferimento direttamente al numero 1 degli Stati Uniti. Nel 1946 fu istituita poi la posizione di “Assistente del Presidente degli Stati Uniti”, con incarichi di sovrintendenza agli affari della Casa Bianca. Nel 1953, Dwight Eisenhower rinominò la posizione con l’appellativo di “Capo di Stato Maggiore della Casa Bianca”. Tuttavia, questo nuovo sistema non venne adottato immediatamente in toto dai successivi presidenti John F. Kennedy e Lyndon Johnson: fu infatti soltanto con l’amministrazione Nixon nel 1968 che il Capo di Stato Maggiore divenne elemento fisso delle amministrazioni della Casa Bianca. Da allora ogni POTUS ha designato un proprio WHCOS, un ruolo divenuto negli anni talmente decisivo che chiaramente il Presidente è ben attento a nominare una persona di cui si fidi ciecamente e con il quale abbia già lavorato e ne abbia testato le qualità: l’attuale capo di gabinetto non fa ovviamente eccezione.

Avvocato, consulente politico e lobbista, sposato con la celebre avvocatessa Monica Medina con la quale ha avuto tre figli, Ron Klain è stato protagonista di una carriera accademica di eccellenza laureandosi prima all’Università di Georgetown e poi alla Harvard Law School. Entrato in ambienti politici legati al Partito Democratico, negli anni Ottanta e Novanta è stato impiegato legale per il giudice della Corte Suprema Byron White e consulente sia per la nomina del giudice Clarence Thomas, sia di Ruth Bader Ginsburg. Ha partecipato ad entrambe le campagne presidenziali di Bill Clinton ed è stato capo di gabinetto del vicepresidente Al Gore dal 1995 al 1999. Dallo stesso Gore, ad inizio millennio, è stato posto a capo del comitato per il riconteggio dei voti nella celeberrima disputa elettorale del 2000, quando il decisivo Stato della Florida è divenuto per settimane un caso combattuto addirittura attraverso le vie legali. Ha poi lasciato momentaneamente la politica registrandosi come lobbista per la società Fannie Mae, non prima di aver collaborato con John Kerry. E’ però dal 2008 che il nome di Ron Klain è salito alla ribalta della scena politica americana, da quando cioè ha lavorato a stretto contatto con Barack Obama durante la sua campagna elettorale, preparando e sistemando insieme i suoi famosi discorsi. Proprio grazie alla vittoria di Obama, Klain è entrato alla Casa Bianca con lo stesso ruolo di capo di gabinetto ricoperto per Al Gore, ma questa volta per il nuovo VP Joe Biden, con il quale aveva già lavorato nel 1988. Al termine del primo mandato ha lasciato l’incarico per entrare nel settore privato, salvo poi essere richiamato da Obama per la missione che l’ha reso una celebrità in America e nel mondo: la lotta al virus Ebola. Non appena la pericolosa malattia venne riscontrata in alcuni cittadini statunitensi, il Presidente ordinò l’immediata creazione di una task force dedicata con proprio Klain al vertice: il suo fu un ottimo lavoro e la sventata minaccia della proliferazione del virus gli valse anche il soprannome di Zar Ebola. Terminata la mansione nel 2015, ha lavorato per società private fino al 2020 quando, appunto, è stato annunciato da Biden come suo personale chief of staff.

Fin da queste prime settimane gli addetti ai lavori non sono stati smentiti circa il peso specifico che Ron Klain sta avendo nelle decisioni prese da Biden, il quale sta rendendo molto partecipi sia lui, sia Kamala Harris. Ciò che è, però, particolarmente interessante da osservare è l’inusuale e sorprendente strategia comunicativa che Klain sta adottando, novità questa assoluta rispetto ai pari ruolo che lo hanno preceduto. A farlo presente è un interessante reportage della CNN che pone l’accento sull’incessante attività dell’account Twitter istituzionale @WHCOS – White House Chief of Staff, come avranno notato i suoi quasi 366 mila followers. In effetti i 1677 cinguettii pubblicati da gennaio a inizi marzo sono qualcosa di inconsueto per un capo di gabinetto, solitamente sempre molto incline e attento a non esporsi troppo davanti al pubblico per evitare scivoloni che possano mettere in difficoltà il Presidente, anche se ovviamente alla Casa Bianca sono stati abituati a ben altro utilizzo del social network di Jack Dorsey negli ultimi anni.

L’account di Klain è divenuto nel giro di un mese un vero e proprio must bipartisan, apprezzato sia dall’ala democratica, sia da quella repubblicana. In tanti non perdono occasione di menzionarlo per sperare in un suo commento o in un retweet. La sua attività online, come riportano gli autori del pezzo Kevin Liptak, Jeff Zeleny, Phil Mattingly e Gregory Krieg, è stata definita una specie di “politica al dettaglio” attraverso la quale il capo di gabinetto sta dimostrando di essere attento a interessi lontani da Washington, DC – come quando un esponente repubblicano della West Virginia si è visto ricondividere dopo neanche 20 minuti dalla pubblicazione una sua lettera, nella quale esprimeva preoccupazioni per la ricaduta di alcune scelte politiche sul suo Stato, con la promessa che l’amministrazione avrebbe monitorato la cosa. Klain è talmente interattivo che tra i membri del Grand Old Party c’è chi ha dovuto addirittura attivare le notifiche per non perdersi nel caos del feed qualche suo tweet e riuscire così a monitorare costantemente le mosse avversarie. Il motivo di questo successo che sta riscuotendo la strategia comunicativa di Klain è dovuto al fatto che sia il Congresso, sia i singoli cittadini si sentono in questo modo ascoltati e dunque si sentono parte attiva dell’attività politica non solo del Paese ma anche dello stesso Presidente: d’altronde che uno degli elementi chiave della nuova amministrazione sarebbe stata la trasparenza era già stato messo in chiaro dallo stesso Biden e ribadito fin dal primo press briefing dalla sua portavoce Psaki. L’assidua presenza di Klain sui social e in collegamento nelle tv americane ha però fatto storcere anche qualche naso, ovvero quello di chi crede che questa sua massiccia attività sui media lo possa distogliere dai veri incarichi governativi e lo porti verso una deriva narcisista in grado di rovinarne i rapporti con il Presidente, coi membri dello staff e con i colleghi parlamentari. A garantire per lui è Chris Whipple, giornalista, esperto di politica ed autore del libro “The Gatekeepers”, il quale ritiene che sia difficile immaginare qualcuno più preparato di Klain per ricoprire l’incarico di chief of staff: dalla sua egli ha l’esperienza pluriennale alla Casa Bianca, che gli permette di sapere perfettamente come funzionano le cose, nonché l’amicizia e la collaborazione di lunga data con lo stesso Joe Biden che lo rende in totale sintonia con il Presidente.

Quattro anni sono lunghi e solo allo scadere del mandato sarà possibile tirare le somme su quello che sarà stato l’operato di Ron Klain. Quello che si potrà fare nel frattempo è restare sempre aggiornati. Anzi farlo sarà molto semplice: basterà aprire il suo profilo Twitter, magari attivando anche il campanello delle notifiche. Klain il cinguettio è dietro l’angolo. Sempre.