Nuova amministrazione è nuova comunicazione: da Trump a Biden

di Domenico Bonaventura

Ad un mese dal giuramento di Joe Biden e Kamala Harris, può sembrare azzardata e avventata un’analisi sulla comunicazione social impostata dalla nuova amministrazione «Stars & Stripes”. E, invece, già grazie ad un rapido controllo è possibile restituire una direttrice comunicativa differente da quella dell’era Trump. Premettiamo che, in generale, le figure di Presidente, First Lady e Vicepresidente riescono, da sole, a costruire una sorta di dedalo di account, considerando quelli personali, quelli istituzionali, quelli diventati archivi virtuali e sostituiti dai nuovi, e quelli cancellati.

Va subito detto che rispetto all’ex Presidente Trump si percepisce una decisa virata verso una istituzionalizzazione della comunicazione, quantomeno di quella social. Già nel 2008, nella prima campagna elettorale di Barack Obama, «la rete e le tecnologie sono state utilizzate per rendere più efficace il contatto diretto con gli elettori potenziali da mobilitare», come affermato dagli studiosi (Cacciotto, 2019). In quella circostanza, infatti, il due volte Presidente degli Stati Uniti ha dimostrato come la potenza di Facebook potesse costruire eserciti di persone disposte a passare dal proselitismo virtuale all’attivismo porta a porta, a quello che la letteratura scientifica (Newman 1994), nell’applicare alla politica la regola delle quattro «P» del marketing, definiva «canvassing», includendo questa categoria nella pratica del «push marketing».

La dinamica comunicativa che andiamo a descrivere è riscontrabile sulle tre piattaforme principali: Twitter, Facebook e Instagram. La prima piattaforma, fino alla cancellazione dell’account personale “Real Donald Trump”, è stata senza dubbio la preferita del Presidente uscente. Questi disponeva anche del profilo istituzionale @POTUS (acronimo che sta per President Of The United States), ma ha sempre preferito twittare dal proprio profilo personale. La ragione è semplice: Trump non ha quasi mai comunicato da istituzione, piuttosto lo ha fatto da politico. D’altronde, nel 2016 è sulla piattaforma di Jack Dorsey che «The Donald» ha costruito la propria elezione, per molti un accadimento sorprendente. Da Twitter, per anni, ha inondato di cinguettii i suoi oltre 88 milioni di follower, concentrando l’azione comunicativa dell’amministrazione americana esclusivamente su sé stesso. Un esempio plastico di quanto la personalizzazione della politica abbia spadroneggiato nei quattro anni da poco trascorsi. Ma anche un modo per definire una scelta ben precisa: comunicare la politica, non l’istituzione, attraverso la scelta dei temi trattati, il tone of voice, la frequenza nella pubblicazione (nel gennaio 2020 aveva stabilito il record di 123 tweet in una sola giornata). Trump ha fatto, insomma, esattamente ciò che, per citare Giansante, una volta veniva definito «retorica politica» e che con l’avvento dei media di massa è conosciuto indistintamente con i termini di «propaganda» e «pubblicità».

Soltanto oggi e soltanto in virtù della cancellazione del suo profilo, cercando qualcosa sull’ex inquilino della Casa Bianca, troviamo un account di archivio del suo mandato (@POTUS45 – President Trump 45 Archived), il quarantacinquesimo nella storia degli Usa. Una pagina da oltre 33 milioni di followers, che però non è altro che un insieme di retweet dall’account @WhiteHouse45, oltre a essere meno aggiornata. @WhiteHouse45 – 26,5 milioni di seguaci – è anch’essa un archivio (dell’istituzione), ma è aggiornata fino al 20 gennaio, giorno del passaggio di consegne con Joe Biden. Tutte pagine che, nonostante un numero enorme di seguaci, nel corso del mandato erano state completamente oscurate dalla dirompenza comunicativa del Presidente.

Passando al successore, invece, anche in questo caso la data-spartiacque è quella del 20 gennaio (e non potrebbe essere diversamente). Fino a quel momento, Joe Biden ha utilizzato il proprio profilo – Joe Biden, 26,8 milioni di followers – con cui ha affrontato tutta la campagna elettorale. Dal giorno del giuramento, questo account si è limitato a ritwittare i cinguettii di @Potus, alias PresidentBiden, che dunque è diventato un’entità «altra» rispetto al concorrente di Donald Trump.

A questo si affianca il profilo @WhiteHouse: molto aggiornato e seguito da 4,5 milioni di utenti, l’account è in rapida crescita. Entrambi i profili, come quello del Vicepresidente Kamala Harris, contengono una sorta di “sottonome» indicativo: «US government account», che invece non era presente nell’account di Trump. Lo scopo sembra chiaro: a parlare è l’istituzione, non l’uomo politico. Si parla a tutti i 330 milioni di statunitensi.

Anche a proposito della Vice Presidente il discorso è uguale. @KamalaHarris, account da quasi 17 milioni di followers, dopo il 20 gennaio si è limitato a ritwittare i cinguetti del profilo istituzionale Vice President Kamala Harris (@VP), seguito da 8,3 milioni di utenti e anch’esso accompagnato dalla dicitura «US government account».

La stessa dinamica da «sliding doors» si riscontra nella comunicazione social delle First Lady. Melania Trump, First Lady uscente, aveva «dirottato» tutta la propria attività del quadriennio su @Flotus45, alias Melania Trump 45 Archivied. Lo stesso era avvenuto quattro anni prima per Michelle Obama, la cui attività su Twitter era stata convogliata in @Flotus44 (Flotus è l’acronimo di First Lady Of The United States).

La moglie del Presidente uscente, quindi, aveva «lasciato libero» il profilo istituzionale, «preso in consegna» da Jill Biden. Anche in questo caso, il tutto è avvenuto il 20 gennaio. Quel giorno, infatti, anche la nuova First Lady ha operato una modifica della propria dinamica di comunicazione. L’account @DrBiden, alias Dr Jill Biden, piuttosto aggiornato e seguito da 3,9 milioni di utenti, in quel giorno ha fermato le pubblicazioni, riprendendo un video (da 10 milioni di visualizzazioni) dall’account di suo marito.

In questo gioco, che abbiamo definito «delle porte scorrevoli», è evidente che con la nuova Amministrazione si assista a un cambio di passo rispetto al quadriennio precedente. La stessa logica si riscontra anche sulle altre piattaforme più utilizzate per la comunicazione politica. Anche Facebook e Instagram, infatti, adottano lo «schema dell’archivio»: nulla, a parte l’account di Donald Trump, è consegnato all’oblio, ma viene convogliato in profili che contengono tutte le pubblicazioni effettuate negli anni trascorsi. Così, su Facebook ecco

@TheTrumpWhiteHouseArchived (9,3 milioni di like) e @FirstLadyMelaniaTrumpArchived (2,6 milioni), mentre l’account #FLOTUS diventa semplicemente «Melania Trump», profilo personale dell’ex First Lady.

Anche sulla piattaforma di Zuckerberg, la nuova Amministrazione sceglie un approccio istituzionale: in naftalina l’account personale di Joe Biden, utilizzato nel corso della campagna elettorale e con un seguito considerevole (8,3 milioni di like), fanno il loro ingresso in campo «President Joe Biden» (@POTUS) e «The White House». Anche Jill Biden abbandona l’account personale per istituzionalizzarsi: ecco quindi «First Lady Jill Biden» (@FLOTUS).

Sappiamo che il confine tra comunicazione politica e comunicazione istituzionale è molto sottile. E sappiamo anche che molto spesso i leader oltrepassano questa linea, magari fingendo di non accorgersene. In questo caso, bisogna dire che almeno gli intenti iniziali segnalano la volontà di stare al di qua dello steccato. Evitare la sovrapposizione tra i due livelli potrebbe essere un elemento significativo per allontanare quel rischio che Giorgino (2020) vede molto concreto quando parla di trasformazione della politica in comunicazione e della comunicazione politica in marketing politico.