Politica e primavera
di Francesco Napolitano
La parola costruisce ponti verso territori inesplorati.
Prontamente isolata dal contesto nella quale e da colui dal quale è stata pronunciata, questa considerazione può fornire un ottimo punto di partenza per la nostra riflessione a pochi giorni dalla rinascita della primavera.
Chiedendoci infatti qual è il rapporto tra la primavera e i moti rivoluzionari, cercheremo di avvicinare concetti in apparenza distanti e appartenenti a dimensioni diverse grazie al ponte del linguaggio e a quello delle similitudini.
È un caso che la maggior parte delle spinte rivoluzionarie siano sbocciate nella “bella stagione” o rechino con sé il termine “Primavera”?
I politologi e i metereologi in team sono in affanno in quanto devono preoccuparsi di intercettare sul nascere questo particolare fenomeno politik-metereologico.
Tale difficoltà è acuita dalla circostanza che non esiste un’app che aiuti a cogliere i sintomi del cambio di stagione ed il sentore di acquazzoni improvvisi ed estremi ed allo stesso tempo che sia in grado di riconoscere nell’aria impregnata di polline i segnali di uno scoppio rivoluzionario.
Tuttavia, per azzardare una previsione più o meno attendibile, consapevoli dell’esempio e del valore della storia Magistra vitae, potremmo avvalerci dell’osservazione degli eventi e delle coordinate del passato.
Passato che non a caso ritorna automaticamente nell’immaginario e nel gergo del presente, attraverso espressioni del calibro di Ancien Règime, Restaurazione, dalle quali partiamo cercando tuttavia di non “fare un 48”.
I moti rivoluzionari del 1848, a partire dalla primavera dello stesso anno e per questo noti anche come Primavera dei popoli, hanno sconvolto l’Europa nell’arco di un biennio, creando, nel significato che oggi abbiamo del termine, scompiglio e confusione. E ciò, nel tentativo di abbattere i governi della restaurazione e di sparigliare gli equilibri geopolitici raggiunti grazie al Congresso di Vienna.
Questo insieme di moti, caratterizzato da un pullulare di movimenti di matrice democratica e liberale, operante spesso in circoli clandestini e portato avanti con nuovi strumenti di propaganda fra cui opuscoli e volantini, sono stati mossi dallo scopo comune di ottenere Costituzioni e Parlamenti, con quello di arrivare all’unificazione degli Stati nazionali, alla ri-disegnazione dei confini e all’autodeterminazione dei popoli.
Paradigmatici episodi che spiccano in tale scenario sono l’insurrezione delle 5 giornate di Milano contro gli Austriaci e la campagna dei banchetti sorta come protesta per l’ampliamento del diritto al voto in Francia. Paese quest’ultimo protagonista mezzo secolo prima, accecato dagli abbagli della monarchia assoluta e di vari Re Sole. Infatti, il sistema fiscale iniquo ed i notevoli privilegi dei nobili e degli aristocratici, l’insofferenza del Terzo Stato, penalizzato da una rappresentanza esigua e da un ingiusto sistema di votazione per ordine e non pro capite, hanno innescato una spirale di eventi quali la convocazione degli Stati Generali il 5 maggio 1789 (avvenuta dopo quasi due secoli), il Giuramento della Pallacorda e la Costituzione dell’Assemblea Nazionale ed infine, in un luglio infuocato, la Presa della Bastiglia.
Nella rosa dei venti storici lo zefiro illuminista sospinto dalle correnti universali del razionalismo, dell’egualitarismo e del contrattualismo non è stata l’unica brezza primaverile che ha smosso con veemenza lo Stato Transalpino. Si pensi che il Comitato di Salute Pubblica, autore di una serie di misure repressive culminate in un gran numero di condanne a morte avvenute durante il Regime del Terrore, è nato proprio ad Aprile. Si pensi anche che il movimento sociale e politico di contestazione del ’68 ha raggiunto il suo apice, con le proteste e le contestazioni capitanate perlopiù da masse studentesche e giovani, nel Maggio Francese.
I giovani hanno assunto un ruolo decisivo anche nelle primavere arabe, moti che spinti dalla rabbia verso la corruzione governativa, dall’avversione nei confronti della limitazione delle libertà individuali e della violazione dei diritti umani e da situazioni di crisi come la disoccupazione dilagante e la crescita dei prezzi dei generi alimentari, hanno destabilizzato nell’arco della primavera del 2011 l’intera area mediorientale, portando alla caduta di leader storici: Al Sisi in Tunisia, Mubarak in Egitto e Gheddafi in Libia.
Se a dare inizio alle rivolte mediorientali è stato il suicidio del giovane tunisino Mohammed Bouazizi, datosi fuoco, un altro atto auto-incendiario è simbolo della Primavera di Praga, rimasta nell’immaginario collettivo anche per l’estremo gesto del giovane Jan Palach, toltosi la vita in piazza San Venceslao per protestare contro la soppressione delle libertà ad opera dell’egemonia dell’Urss e delle truppe del patto di Varsavia, che in quegli anni soggiogavano l’autonomia degli Stati satellite.
Forse sono state disorientate dai cambiamenti climatici o forse hanno preso troppo alla lettera l’aforisma di Camus per il quale “l’autunno è una seconda primavera, dove ogni foglia è un fiore” la Rivoluzione di Ottobre e la Rivoluzione Ungherese. Un’eccezione in quanto non cadute in periodo primaverile, bensì in autunno.
Ciò significa che una rivoluzione, come una rondine, non fa primavera?
Altri celebri moti quali la Rivoluzione cantata nei Paesi Baltici, la rivoluzione delle rose in Georgia e la rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan, sembrano rievocare quell’idea floreale primaverile, in quanto urlo d’amore della natura e sentimento di rinascita.
Ritorniamo allora alla domanda di partenza.
È un caso che la maggior parte delle spinte rivoluzionarie siano sbocciate nella “bella stagione” o rechino con sé il termine “Primavera”?
Probabilmente la primavera come ritorno alla vita dopo il letargo, come riscoperta e rinnovamento è in grado di influenzare sentimenti e animi risvegliando coscienze e moti interiori intorpiditi dal freddo della neve e dell’inverno, ma anche innescando processi rivoluzionari interni (e non) che hanno portato ad eventi marchiati a fuoco nella storia dai primi raggi solari della mezza stagione.
Del resto, come non possono contenersi le idee, allo stesso modo -come affermato da Gandhi- un uomo può uccidere un fiore, due fiori tre fiori, ma non può uccidere la primavera.
Una stagione, dunque, segno di speranza e di rinascita anche in “Primavera a Sarajevo”, canzone in cui Enrico Ruggeri fortunatamente, malgrado le rovine della lunga guerra fratricida balcanica, è riuscito a vedere fra le case mutilate dalla faida i fiori e la primavera.