Quando il gaming aiuta la libertà di stampa

di Federica Serafinelli

In tempi di Covid i cittadini di quei Paesi nei quali vige una censura governativa opprimente si sono dovuti confrontare con l’inasprirsi delle restrizioni alla libertà d’informazione e al diritto a veicolare notizie riguardanti non solo i processi economici, politici e sociali maturati all’interno dei propri confini nazionali, ma anche quelli maturati all’esterno. Così, se ad ogni irrigidimento normativo corrisponde l’espansione del sottosuolo contro-culturale e un incremento periferico di contropotere, non stupisce che il giornalismo abbia trovato canali alternativi attraverso i quali esprimersi. E ciò, per consentire ad un flusso di informazioni più trasparenti di circolare svincolandosi dall’autorità dei decisori pubblici di quelle nazioni nelle quali il valore del diritto di cronaca e di critica è più compromesso di altri. A sorprendere, piuttosto, vi è la presa d’atto che il mezzo dedicato all’apertura di una faglia di libertà attraverso il muro della censura sia stato l’affascinante universo del gaming.

Grazie ad un’iniziativa di Reporters Without Borders, il secondo videogioco più venduto al mondo, Minecraft, con le sue oltre 200 milioni di copie acquistate, ha consentito di una prospettiva rivoluzionaria. Attraverso il colonnato neoclassico di un’enorme libreria virtuale è, infatti, possibile avere accesso ad un panorama sconfinato di libri e, appunto, di articoli altrimenti inaccessibili a causa della censura in vigore in Paesi come l’Arabia Saudita, l’Egitto, il Messico, la Russia e il Vietnam. Il videogioco ideato dallo svedese Marcus Persson, conosciuto come “Notch”, consente di sviluppare progetti architettonici e urbanistici immaginifici in scala 1:1. Il carattere visionario di questo “iperconnesso Lego virtuale” si è spinto fino a concepire i blocchetti digitali con i quali città e palazzi strabilianti vengono creativamente progettati come un’inedita rivelazione dalle significative implicazioni politiche. Una rivelazione sorta dall’ambizione di espandere la libertà del diritto ad informare e ad essere informati.

 

 

A sostenere la portata di questa idea, che ha permesso la costruzione digitale dell’imponente struttura articolata in 12,5 milioni di blocchi, è stato Minecraft, il payoff “The digital home of press freedom”. Com’era prevedibile, ciò non ha intimorito la Cina impedendole di creare una propria versione del gioco, in modo da ostacolare la contaminazione tra gamer della Repubblica Popolare e gamer stranieri. I reporter cinesi, infatti, usano i canali Tor per aggirare il tracciamento, mentre la versione russa di questo sistema è RuTor.

La lotta contro la cyber censura globale ha montato gli scaffali di un’enorme biblioteca virtuale costruita sulle fondamenta di una prospettiva libertaria. È il 12 marzo del 2020 quando, nel World Day Against Cyber Censorship, The Uncensored Library apre le sue porte ai gamer di Minecraft. Lo fa grazie ad un progetto realizzato dall’agenzia pubblicitaria DDB Germany. Il design di BlockWorks si discosta poco, quasi si trattasse di un contrappasso, da una di quelle strutture-establishment prodotte dell’“industria culturale” (Adorno e Horkheimer) come la New York Public Library.

Gamer, ma non solo. Reporter, studenti e cittadini desiderano conoscere in modo più limpido e obiettivo la realtà politica del proprio Paese e quella del mondo in cui vivono, al di là degli scenari trasfigurati dal montaggio mediatico ufficiale così come imposto dall’agenda politica di governi autoritari che esercitano un controllo sugli ambienti culturali e sulla notiziabilità.

Il periodo della pandemia ha rappresentato una sfida per gli abitanti di quelle realtà geografiche, i cui sistemi politici hanno cercato di occultare gli effetti della diffusione del virus all’interno e all’esterno dei propri confini.  Per questo The Uncensored Library ha ampliato la mappa con la quale è possibile ai visitatori e fruitori di orientarsi con disinvoltura tra i molti corridoi e scaffali, aggiungendo anche una sala che desse voce a Paesi come Brasile, Cina, Corea del Nord, Egitto, Iran, Myanmar, Russia, Tailandia, Turkmenistan e Ungheria. Tutto ciò, con l’intento di mostrare come il coverage giornalistico del “fatto sociale totale” del Covid-19, per dirlo con le parole dell’antropologo Marcel Mauss, sia stato portato avanti con modalità differenti e nonostante le opprimenti limitazioni alla libertà di stampa. È interessante notare come un gioco online che espande la sensibilità nei confronti dell’ideazione di quegli ambienti che lo scrittore Jorge Luis Borges avrebbe forse chiamato “finzioni” e che Italo Calvino avrebbe considerato “città invisibili”, possa rivelare la profezia dell’esistenza di un mondo parallelo e di un teatro di meta-libertà.  Ed è impressionante anche notare che al carattere ordinario del controllo esercitato sulla cultura e sui mezzi d’informazione da parte di chi detiene il potere corrisponda ossimoricamente, almeno con la prospettiva di Minecraft, una forma di re-intermediazione della libertà d’espressione che in questo caso assume le forme dell’opportunità tecnologica più insospettabile, quale è un videogame. Un’opportunità astuta e avanguardista frutto della sfida lanciata all’estro personale di dare fondamenta a strutture immaginarie. Giornalisti e cittadini alleati in una causa che assume le sembianze di avatar, i quali si celano tra bricks virtuali e si scambiano informazioni sullo stato delle cose, permettendo alla complessità degli eventi pandemici, politici, economici e sociali di essere analizzati e discussi dialetticamente sul territorio cosmopolita di una Library svincolata dal dispositivo coercitivo della censura. Non è poco.