Quella notte all’Aquila che sconvolse l’Italia (e il mondo)

di Pio Di Leonardo

Sei aprile. Una giornata di primavera, limpida e soleggiata, quasi accarezzata dai venti che, dal Gran Sasso, portano una piacevole frescura sulla città. “L’Aquila è molto bella. Le notti sono fresche d’estate, e non c’è primavera più splendida in Italia” scriveva Ernest Hemingway nel suo capolavoro “Addio alle armi”. Le notti apriline, invece, sono fredde, terse. Silenziose. Ma questa no. Solo qualche ora fa, la quiete della notte aquilana è stata infranta dai rintocchi della campana della chiesa delle Anime Sante, in piazza Duomo. Trecentonove. Erano le 3.32 della notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 quando un violentissimo terremoto di magnitudo 5.9 colpiva l’Abruzzo, la città dell’Aquila e le sue numerose frazioni. Ora sono da poco passate le 3.32 del 6 aprile 2021. Dodici anni, il centro Italia si è trovato ancora una volta alle prese con l’ennesimo sisma e, oggi, tutto il mondo sta combattendo contro un’altra grande sfida, la pandemia, che non ha permesso la tradizionale fiaccolata in memoria delle vittime. La scossa colse nel sonno gli abitanti e rase al suolo case, monumenti, edifici storici, ospedali, università: la Casa dello studente diventerà uno dei simboli del sisma. Il bilancio finale sarà di 309 vittime, 1.600 feriti, di cui 200 gravissimi, circa 70.000 sfollati, di cui 13.000 studenti universitari fuori sede. La frazione est della città, Onna, fu rasa completamente al suolo.

Una scossa che fece tremare non solo la terra, ma anche la politica, la scienza, la giustizia e i media che avevano raccontato, forse troppo tardi, quella tragedia.

Dal punto di vista politico, centrale è stata la figura di Silvio Berlusconi. L’ex premier si recò subito sul luogo del disastro promettendo agli aquilani che nessuno sarebbe stato lasciato solo. Nei primi mesi del post-sisma gli sfollati che decisero di rimanere in città vennero sistemati in numerose tendopoli, altri furono ospitati negli alberghi della costa, altri ancora trovarono riparo presso amici e parenti. Tra settembre e novembre la costruzione delle cosiddette “new town”: 19 quartieri di case antisismiche fortemente volute dal Cavaliere, furono consegnate ai terremotati. Berlusconi venne però accusato, già dalle prime ore, di esibizionismo e populismo, di aver montato un circo mediatico, di girare un vero e proprio reality show tra le tendopoli solo per ottenere consensi. Decine le critiche degli avversari politici, ma il suo consenso aumentò. Con la decisione del trasferimento del G8 dall’isola della Maddalena in Sardegna a L’Aquila, le critiche si smorzarono. Berlusconi continuò a partecipare agli incontri con i responsabili dei soccorsi e a incontrare la popolazione colpita dal sisma, non sottovalutando minimamente l’accaduto. Nei giorni successivi alla catastrofe, proprio mentre la moglie Veronica Lario dichiarava pubblicamente di aver avviato le pratiche per il divorzio, Berlusconi continuò a lavorare e a presiedere riunioni all’Aquila. Secondo gli avversari politici, si trattò però anche in questo caso di una farsa. Pochi giorni più tardi, con il discorso del 25 aprile a Onna il Cavaliere raggiunse l’apice del consenso, invocando uno spirito di coesione nazionale al di là dell’appartenenza politica. Consenso che, poi con il passare del tempo, andrà gradualmente diminuendo. L’emergenza, nel corso degli anni, ha lasciato il posto alla gestione ordinaria paralizzata da vincoli, burocrazia, al susseguirsi di vari governi, a inchieste giudiziarie e persino alle risate di imprenditori senza scrupoli.

Quello dell’Aquila è stato anche un vero e proprio terremoto nella comunicazione. Nella notte, prima che la notizia venisse diffusa per televisione, le prime informazioni arrivarono solo da Internet. «Terribili crolli!!!!!», gridavano gli utenti su Facebook, mentre il primo tweet dopo la scossa si domandava: «C’è ancora qualcuno vivo all’Aquila?». Si rincorrevano le domande sulla localizzazione del terremoto, e le notizie vere si accavallano con quelle false: molti affermarono che il terremoto li aveva colpito la capitale. Allo stesso tempo però c’era anche chi riuscì a trovare informazioni attendibili ancora prima che esse fossero date dalla tv. Grazie proprio alla vicinanza con Roma, telecamere e inviati arrivarono rapidamente nel capoluogo abruzzese e già un paio d’ore dopo la scossa, Rai News 24 trasmise le prime immagini in diretta.  La stampa, in effetti, aveva trascurato la lunga sequenza sismica che interessava l’Aquila già dal dicembre 2008: in pochi mesi si erano succedute centinaia di scosse dall’intensità crescente, che erano passate dall’iniziale magnitudo di 1.8 a quella di 4.1 registrata il 29 marzo 2009. Anche la frequenza, del resto, era cresciuta: a gennaio c’erano state 69 scosse, poi salite a 78 a febbraio e a 100 a marzo; nei primi cinque giorni di aprile, infine, ce ne sarebbero state ben 57. Tuttavia, questa lunga sequenza, aveva lasciato poche tracce nell’informazione nazionale: solo qualche breve in cronaca e qualche articolo che descriveva l’inquietudine della popolazione come una “psicosi” collettiva scatenata dalle errate previsioni di un ricercatore del posto, Giampaolo Giuliani, il quale aveva inventato un sistema di rilevazione del radon, un gas presente negli strati profondi della crosta terrestre che si libera con l’attività tellurica, e che avrebbe rappresentato un significativo “precursore sismico”.

Il discusso caso della Commissione Nazionale per la previsione e la prevenzione dei Grandi Rischi è stato emblematico: denunciata per «valutazione negligente del rischio» e «informazione fuorviante», i suoi membri sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio colposo plurimo con una sentenza di primo grado del tribunale dell’Aquila nel gennaio 2013 (poi assolti definitivamente dalla Corte di Cassazione nel 2015, ad eccezione del responsabile della Protezione Civile, De Bernardinis). La Commissione si era riunita in via straordinaria il 31 marzo 2009: l’incontro era stato voluto dal capo dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso, che aveva tentato in questo modo di rassicurare gli amministratori locali sullo sciame sismico, che aveva portato il sindaco Massimo Cialente a chiudere due scuole e a chiedere la proclamazione dello stato di emergenza. Inoltre, le stesse dichiarazioni di Giampaolo Giuliani stavano accrescendo le preoccupazioni della popolazione. Al termine della riunione, tuttavia, la Commissione aveva rassicurato l’opinione pubblica con un comunicato in cui affermava che lo sciame che stava interessando la città era un fenomeno geologico normale e che non vi era alcun pericolo, dato che la situazione era persino favorevole poiché vi era uno scarico di energia continuo (Caporale 2011, p. 28).

Secondo diverse testimonianze, sarebbe stato proprio questo genere di dichiarazioni a spingere molti aquilani a non prendere precauzioni nei giorni successivi. Secondo l’accusa, il reale obiettivo della Commissione era quello di tranquillizzare la popolazione. Situazione che costò ai sei componenti l’accusa di omicidio colposo plurimo, provocando le ire degli scienziati di tutto il mondo. È, infatti, fuori discussione, secondo l’opinione dei ricercatori, che prevedere un terremoto sia impossibile alla luce delle conoscenze scientifiche attuali. Bisognava piuttosto riflettere sulle strategie comunicative adottate: comunicazioni così delicate “devono essere fatte bene” e a L’Aquila ciò non fu fatto: fu questo il giudizio severo espresso su Nature da Thomas Jordan, direttore del Centro terremoti dell’Università della California. La stessa rivista rilevò che il 31 marzo 2009 la Commissione aveva lavorato in condizioni tutt’altro che facili. La tensione era aumentata in seguito agli allarmi lanciati da Giuliani, i cui risultati furono giudicati “insoddisfacenti” nell’articolo. Inoltre, si sostenne che quella riunione della Commissione Grandi Rischi sarebbe avvenuta in modo anomalo: le sessioni avvengono di solito a porte chiuse, ma in quell’occasione erano presenti decine di governanti locali e altre persone esterne alla comunità scientifica; i sei scienziati si trovarono così ad affrontare un’ondata di timori da parte della popolazione.

In merito ai media, dopo la fase iniziale dell’emergenza e dei soccorsi, sono emerse due rappresentazioni contrapposte, capaci di penetrare l’immaginario collettivo. La prima, televisiva, è stata quella del “miracolo”, termine con cui Berlusconi ha definito, non a caso nello studio di “Porta a Porta”, la strategia di ricostruzione operata dal suo Governo. La seconda narrazione è quella del “disastro”, sviluppata soprattutto sulla stampa per poi diffondersi anche attraverso il cinema (Draquila, l’Italia che trema, di Sabina Guzzanti), in merito soprattutto agli scandali giudiziari che hanno caratterizzato il post-sisma.  Nella puntata del 9 aprile 2009 di “Anno Zero” Michele Santoro, in contrasto con molti servizi elogiativi dei soccorsi e dei soccorritori, scelse di denunciarne le lentezze, le approssimazioni e l’impreparazione. La trasmissione scatenò moltissime polemiche, “lacerando il velo di unanime solidarietà che copriva L’Aquila” (Erbani 2010, p. 38). “Porta a Porta”  invece aveva usato più il codice emozionale: la sera del 6 aprile infatti andò in onda uno speciale che si aprì con un commosso reportage del giornalista, peraltro aquilano d’origine, nella città distrutta. Gli spettatori furono oltre 6 milioni, quota che nessun’altra trasmissione saprà raggiungere in quel periodo.

Il quadro dell’informazione locale, invece, fu di segno opposto. Le televisioni abruzzesi, infatti, dedicarono molto spazio alla comunicazione istituzionale, assolvendo così a una “funzione di servizio pubblico” su base territoriale. In termini percentuali, il 23,9% del tempo dedicato al terremoto nei telegiornali locali, nei quindici giorni successivi al sisma, era stato riservato proprio alla comunicazione istituzionale e di servizio, a fronte di un 17,1% dei telegiornali nazionali.

Il ricordo del sisma, dopo aver toccato stampa, cinema e talk show, arriva anche sul piccolo schermo grazie alla fiction L’Aquila Grandi Speranze. Come racconta lo sceneggiatore Stefano Grasso, il titolo fu ispirato al romanzo “Grandi speranze” di Charles Dickens. A dirigerla Marco Risi, un regista capace di coinvolgere attori professionisti e giovani aquilani, che non avevano mai avuto esperienza su un set. L’esperimento, tuttavia, non ebbe un grande riscontro di pubblico, segno che la tragedia dell’Aquila aveva smesso di appassionare, forse anche perché messa in ombra dagli scandali e dalle inchieste.

L’Aquila, una città forte che si è sempre saputa rialzare nel corso della sua storia. Nel libro IV dell’Eneide, Virgilio invita Enea a non lasciarsi smuovere dalle proprie decisioni e a rigettare indietro le lacrime dovute all’abbandono di Didone. Mens immota manet, lachrimae vulvuntur inanes (Resta immutato nel tuo pensiero, lascia scorrere inutilmente le lacrime), scrive il grande poeta latino. Tale verso, nel tempo, è divenuto il motto della città dell’Aquila. Motto accostato alle sequenze di terremoti che hanno colpito e distrutto la città sin dalla sua fondazione e al tempo stesso radicato al desiderio di risorgere dei suoi abitanti e alla circostanza che la città è sempre stata ricostruita. L’Aquila, la città che nel lontano 1703, in seguito ad un violentissimo sisma, cambiò i colori della sua bandiera dal rosso e bianco, simbolo della Basilica di Collemaggio, orgoglio e vanto abruzzese, nel nero e nel verde, a ricordo del lutto e in segno di speranza. Speranza, che potrebbe crollare da un momento all’altro con la città così ferma, vuota. Ma L’Aquila, capoluogo di una regione forte e gentile, sa tornare a volare!

Immota manet la volontà degli abitanti di una terra ferita che vuole e deve ricominciare a correre…