Dopo Brexit e pandemia, Boris Johnson ora alla prova elettorale
di Domenico Maria Bruni
Il prossimo 6 maggio è una data significativa per la politica del Regno Unito. Nello stesso giorno, giovedì prossimo, si terranno, fra le altre, elezioni per il Parlamento scozzese, elezioni suppletive in un collegio chiave e simbolico, infine elezioni locali in decine di comuni e città. Di seguito, alcune delle variabili da osservare per una valutazione complessiva di questa tornata elettorale.
Indipendentismo scozzese, più della Brexit poté il vaccino?
La maggior parte degli analisti, negli ultimi due anni, ha ipotizzato il manifestarsi di una nuova fiammata di indipendentismo scozzese a mo’ di reazione rispetto al divorzio del Regno Unito dall’Unione europea, mossa – quest’ultima – perlopiù invisa all’elettorato scozzese. Le elezioni per il Parlamento scozzese, il prossimo 6 maggio, permetteranno una prima verifica concreta di tale ipotesi. È certo che lo Scottish National Party (SNP), partito indipendentista scozzese, uscirà dalle urne come primo partito locale in termini di consensi e di seggi. Si tratta di una conferma di quanto già accaduto negli ultimi anni. Più importante sarà valutare la portata della vittoria dello SNP. La soglia da raggiungere per parlare di “trionfo” coincide con la maggioranza assoluta dei seggi del Parlamento scozzese. Se una simile soglia fosse raggiunta e superata, allora diventerebbe più difficile resistere alla richiesta di un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito. Finora il Primo Ministro inglese, Boris Johnson, si è attestato sulla posizione dei suoi predecessori conservatori: il referendum sull’indipendenza scozzese si è già tenuto nel 2015, la proposta di secessione è stata sconfitta nelle urne, dunque di un altro referendum se ne potrà riparlare in un futuro lontano, misurato in termini di generazioni, questo il ragionamento. I Laburisti, pur essendo anche loro “unionisti” come i Conservatori e dunque contrari all’indipendenza scozzese, mantengono per ora una posizione più attendista senza escludere esplicitamente nessuna ipotesi.
Cosa aspettarsi, dunque, su questo fronte? I sondaggi per il momento danno gli indipendentisti molto vicini alla maggioranza assoluta dei seggi. Con alcuni caveat:
- Quanto sarà frammentato il fronte indipendentista? I partiti indipendentisti sono tre: lo SNP, i Verdi e Alba, quest’ultimo fondato da poco dall’ex leader dello SNP Alex Salmond in polemica con l’attuale leadership dello SNP. Stando agli ultimi sondaggi, lo SNP potrebbe mancare la maggioranza assoluta per un soffio (due o tre seggi). Anche se, complice il complesso meccanismo di voto, l’obiettivo di una maggioranza assoluta “indipendentista” dovrebbe essere comunque raggiunto. Da un punto di vista politico, però, ci potrebbe essere una certa differenza sull’eventuale tempistica di richiesta di un secondo referendum, a seconda che tale maggioranza sia composta da SNP e Verdi, oppure da SNP e Alba.
- Quanto terranno i Conservatori? I Tory in Scozia hanno perso elettori a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo, con una evidente accelerazione a partire dagli anni di Margaret Thatcher. Tuttavia, nelle elezioni per il Parlamento scozzese del 2015, i Tory erano riusciti ad affermarsi come secondo partito dietro lo SNP, scavalcando i Laburisti. Nel caso riuscissero a conservare questo ruolo anche stavolta, magari rafforzando un po’ la loro posizione relativamente agli altri partiti, accrescerebbero la propria capacità di resistenza ai progetti di SNP e alleati.
- Soprattutto: l’indipendentismo è ancora maggioritario? Nelle ultime settimane, a giudicare dai sondaggi, si assiste a un fenomeno decisamente nuovo nell’elettorato scozzese: per la prima volta dai tempi della Brexit, infatti, il desiderio di una Scozia indipendente sembra spaccare a metà l’elettorato scozzese, con alcuni sondaggi che addirittura lo hanno stimato di un soffio al di sotto del 50%. Un mutamento spiegabile probabilmente in due modi. Primo, la gestione di successo della campagna vaccinale da parte del governo di Londra, soprattutto se raffrontata con le lentezze e le inefficienze dell’Europa continentale, potrebbe aver fatto cambiare idea ad alcuni elettori scozzesi sulla rilevanza del tema “Brexit”. In secondo luogo, un’eventuale secessione della Scozia dal Regno Unito comporterebbe la creazione di un hard border tra le due nuove entità, con annessi ostacoli e costi per lo scambio di merci e per l’economia in generale, a fronte di un rapporto con l’Unione europea ancora tutto da concepire e costruire.
Suppletive ed elezioni locali, bussola per le culture politiche in evoluzione
In vista delle elezioni del 6 maggio, gli istituti demoscopici hanno intensificato la frequenza di pubblicazione dei loro sondaggi. Questi ultimi, nelle ultime settimane, hanno segnalato costantemente un vantaggio dei Conservatori sui Laburisti. Lo scorso 28 aprile, addirittura, un sondaggio YouGov attribuiva ai Conservatori 11 punti percentuali in più rispetto all’opposizione di sinistra a livello nazionale. Il prossimo 6 maggio, però, soltanto un seggio di Westminster è in palio, quello del collegio di Hartlepool, dove si svolge appunto una elezione suppletiva. Anche qui, dove il deputato uscente apparteneva al Partito Laburista, avanti nei sondaggi sembrano esserci i Conservatori, e con un discreto margine di vantaggio. Perché un seggio come questo può essere importante? Perché il collegio di Hartlepool si colloca in un’area geografica nota come “Red Wall”, ex roccaforte laburista nella quale i Conservatori avevano riportato una storica affermazione alle elezioni nazionali del 2019. Allora fu osservato che nel Red Wall, di fede politica tradizionalmente laburista, il consenso per la Brexit (cavalcata dai Conservatori a guida Johnson) era stato decisivo nell’imprimere una svolta alle preferenze dell’elettorato. Se quest’anno i Tory si aggiudicassero anche il seggio di Hartlepool, avremmo una conferma che la svolta è stata tutt’altro che passeggera o dettata soltanto dal tema – pur importante – della Brexit.
L’elezione suppletiva di Hartlepool, insomma, avrebbe un valore “segnaletico” dell’evoluzione delle principali culture politiche inglesi. I Conservatori, vincendo, confermerebbero la bontà elettorale dei tentativi di una nuova elaborazione teorica e programmatica, sul fronte economico-sociale meno centrata sullo Stato minimo e più attenta al sostegno alla Sanità, agli investimenti pubblici in infrastrutture e alloggi. D’altra parte una sconfitta dei Laburisti nel loro (ex) Red Wall vorrebbe dire che non sono ancora riusciti a scrollarsi di dosso l’immagine di Partito “anti-patriottico” e troppo poco attento alle ricadute delle trasformazioni dell’ultimo venticinquennio sul tessuto socio-economico.
Altri segnali, in particolare sulla dimensione “geografica” del confronto politico, arriveranno dalle elezioni locali. In palio, il prossimo 6 maggio, ci sono circa 5.000 seggi e il controllo di 145 autorità locali. In particolare, si va al voto per il rinnovo di 35 Metropolitan Boroughs, centri urbani di cui soltanto 2 controllati dai Conservatori, e di 21 County Councils, di cui 19 controllati dai Conservatori e 2 da coalizioni tra Conservatori e Indipendenti. La mappa attuale, dunque, conferma a grandi linee la spaccatura tra l’elettorato delle grandi città (a maggioranza laburista) e quello dei centri minori (a maggioranza conservatrice). Questa frattura è destinata a rimanere tale, a rimpicciolirsi o ad approfondirsi? Se consideriamo i sondaggi per l’elezione del sindaco della capitale, Londra, sembrerebbe non esserci storia: l’affermazione dei Laburisti nei grandi centri urbani è scontata. Eppure gli stessi sondaggi segnalano qualche possibile sorpresa: nella città di Liverpool, per esempio, storico feudo laburista, un candidato indipendente è in testa nelle intenzioni di voto. Si tratta di equilibri da monitorare in maniera ponderata.
Nella prossima tornata elettorale, si gioca anche il futuro politico di Johnson
Infine, dall’andamento complessivo della tornata elettorale del prossimo 6 maggio, potrebbe dipendere in parte il futuro politico di Boris Johnson. Sindaco di Londra dal 2008 al 2016, poi Segretario di Stato per gli Affari Esteri dal 2016 al 2018, quindi Primo Ministro dall’estate del 2019 a oggi, riuscirà Johnson a rimanere al numero 10 di Downing Street fino alla scadenza naturale della legislatura, cioè il 2024? Da notare che la forza dell’attuale Primo Ministro si è basata finora soprattutto sulla sua capacità di interagire in modo diretto con l’opinione pubblica e di creare con la stessa una qualche forma di connessione diretta. Il suo potere, rispetto ad altri leader che lo hanno preceduto, fa invece molto meno affidamento sulla capacità di pianificazione delle policy o sull’abilità come leader parlamentare. Non a caso la sua leadership ha iniziato a traballare nella prima fase della pandemia e fino a tutto l’inizio del 2021, da una parte a causa di certe sue indecisioni sulla strategia anti-pandemia, dall’altra soprattutto per il parallelo montare di un certo malcontento “di palazzo” tra i parlamentari conservatori contrari alle misure pro lockdown. Oggi i Laburisti, cavalcando le polemiche per presunte irregolarità di Johnson nella gestione di fondi privati destinati alla ristrutturazione di Downing Street, cercano di scalfire proprio il legame tra il Primo Ministro e l’opinione pubblica. Per il momento, a favore della tenuta di Johnson, giocano tuttavia tre fattori: la gestione della campagna vaccinale e il successo della stessa anche rispetto a quanto accaduto nell’Unione europea; la credibilità acquisita per aver portato a termine le difficoltose trattative sulla Brexit; una ripresa economica del Paese più robusta del previsto. Le elezioni del 6 maggio, nel loro complesso, ci diranno se a prevalere saranno i punti di debolezza o quelli di forza del Primo Ministro. Con possibili immediate ricadute sulla solidità di Johnson nel suo ruolo di leader. Infatti, mentre nel Partito Laburista – come pure in molti altri movimenti della sinistra europea – il dibattito ideologico-programmatico spesso l’ha fatta da padrone, all’opposto il Partito Conservatore è sempre stato molto attento alla capacità dei propri leader di attrarre il consenso elettorale con cui sostenere le proposte politiche. Gli occhi dei Tory, dunque, sono puntati su BoJo.