Salute o libertà, il dilemma storico-filosofico ai tempi della pandemia
di Corrado Ocone
Non c’è dubbio che il ritornare in primo piano delle teorie eugenetiche a livello filosofico si leghi anche all’affermarsi di quell’ambito di ricerca e di azione, pur molto ampio e differenziato al suo interno, che viene indicato con il nome di “post-umanismo”. Al quale proposito una delle domande da porsi, a mio avviso, concerne proprio i legami che questo movimento culturale intrattiene con la modernità e con la mentalità razionalistico-illuministica. Ne è una continuazione e radicalizzazione, o una pericolosa deviazione? E più radicalmente, se fosse vera, come io sostengo la prima tesi, post-umanisti e modernisti, che pur si danno battaglia acerrima, non sarebbero da considerarsi figli di uno stesso ordine di pensiero?
Nel settembre 1999 il filosofo tedesco Peter Sloterdijk (1947) tenne una conferenza, un cui stralcio fu pubblicato sulla diffusa rivista “Die Zeit”, che risultò provocatoria sin dal titolo: Regole per il parco umano. In essa, ma anche in altri saggi di quello stesso periodo, prendendo spunto dalle riflessioni contenute nella lettera sull’umanismo che Martin Heidegger aveva scritto nel dicembre 1946 in risposta alle tesi di Jean Paul Sartre, il filosofo tedesco riconduceva le più avanzate tecniche biomediche di ingegneria genetica, quelle che intervenivano ad esempio sullo stesso genoma umano, quindi su quella che si determina come l’essenza o la natura dell’uomo, pur nei loro esiti sconvolgenti, ad un’operazione che l’essere umano aveva da sempre fatto nel corso della storia: addomesticare attraverso una selezione. In altre parole, non sono forme di addomesticamento selettivo gli allevamenti delle bestie, da quelli su larga scala e industriali sino a quelli che avvengono nel cortile di casa di chi vive in campagna? E lo stesso, passando ad un ambito più spirituale, non può forse dirsi anche per l’educazione e l’istruzione dei nostri figli, sia in famiglia sia nelle scuole? Le tecniche bioingegneristiche sono perciò, come tutte le altre, antropotecniche, e come tali vanno trattate, cioè nella consapevolezza che nascono da tendenze presenti e radicate nell’uomo.
L’uso di termini come selezione (che viene da Sloterdijk etimologicamente legato a lezione) ed espressioni come parco umano, generarono una violenta reazione polemica nel mondo intellettuale tedesco, anche perché richiamavano parole e nozioni che avevano una evidente assonanza con quelli che furono propri della biopolitica o tanatopolitica nazionalsocialista.
Particolarmente virulenta fu la risposta di Jurgen Habermas, il più noto pensatore tedesco, rappresentante di una sorta di illuminismo post-marxistico e normativistico che, in virtù del suo formalismo metodologico di stampo proceduralistico, ben si accompagnava, come loro legittimazione teorica, ai processi di globalizzazione in atto.
Eppure, a ben vedere, il post-umanismo, alle cui tesi non si può comunque dire affatto che Sloterdijk aderisse, non va visto in antitesi con quel progetto moderno perorato da Habermas. E ciò soprattutto in virtù della persistenza nei suoi schemi mentali dello stesso stilema o afflato progressista, interpretato in chiave di liberazione da presunte catene, e quindi in chiave emancipatrice, rigorosamente antropocentrica.
In ogni caso, quello che anche in questo movimento ultimo del Moderno è dato vedere è appunto una congenita incapacità di fare i conti col Tragico, ciò con quella che è la natura dimidiata dell’essere umano. Il negativo non è, come ritengono in fondo sia illuministi sia post-umanisti, semplicemente un qualcosa da superare, una frontiera da oltrepassare, un inquietante che ci minaccia e che con la forza della nostra ragione e delle nostre tecniche possiamo acquietare, ma è la sempre presente ombra del positivo, l’inquietante che noi stessi siamo (facciamo paura a noi stessi) per la frattura o cesura che costituisce strutturalmente il nostro essere. E che se mai potessimo superare ci catapulterebbe non in una dimensione post-umana o transumana, e nemmeno oltreumana ma, se così si può dire, sic et simpliciter nel mondo del non umano. Un non assoluto perché comunque non è definibile, come qui siamo comunque costretti a fare per differenza, a partire cioè dall’umano. Ugualmente l’Origine è quella coappartenenza del Politico alla vita, il suo tendersi a farsi ma non potersi ridurre in modo definitivo e perfetto a forma. La politica è o dovrebbe essere la consapevolezza vissuta che bene e male si appartengono reciprocamente, o meglio che la radice dell’uno è la stessa dell’altro.
Nessuna antropotecnica, per quanto avanzata e sofisticata, potrà mai eliminare questo dato strutturale. Nessun dispositivo securitario messo in atto dalla nostra libertà potrà darci, come libertà radicale, la sicurezza assoluta e definitiva. E nemmeno l’immortalità.
Esce venerdì prossimo, nella collana di Politica diretta da Dario Antiseri per la casa editrice Rubbettino, l’ultimo libro di Corrado Ocone: “Salute o libertà. Un dilemma storico-filosofico”. Il volume si presenta come un excursus attraverso autori e momenti della storia del pensiero, da Machiavelli e Hobbes fino a Foucault. L’autore, da una parte, mostra l’estrema produttività politica della paura; dall’altra, riferendosi alle ultime vicende relative alla gestione politica della pandemia da Covid-19, individua il fondo oscuro e irrisolto che accompagna il rapporto fra libertà e sicurezza in età moderna. Anticipiamo qui le pagine dedicate al filosofo tedesco Peter Sloterdijk, che presentò al pubblico tedesco un progetto post-umanistico di perfezionamento dell’essere umano e della sua salute.
(Articolo pubblicato su Il Mattino del 29 marzo 2021)