Verso una nuova politica all’insegna del digitale
di Luca Tomassini
Rappresentanza o partecipazione? A che cosa terranno di più i cittadini del domani?
Forse, più che continuare con la consegna di una delega a un rappresentante x che si occupi di risolvere per noi i problemi (che spesso nemmeno conosce a fondo), la tecnologia digitale consentirà a chiunque – dal basso e/o dall’alto – di intervenire con competenza sui singoli provvedimenti legislativi, sulle proposte di legge, su emendamenti e correzioni.
Senza immaginare un mondo invaso da tuttologi tuttofare, si aprirà all’attività legislativa (sicuramente meno in quella esecutiva, e forse non in quella giudiziaria) – ovvero in quella attualmente di competenza del Parlamento – la possibilità di strutturarsi secondo una rete di piattaforme open source abili a scrivere le leggi dello Stato in modo allargato e collaborativo, sul modello Wikipedia, se si vuole, con più controlli e severità – data la delicatezza del contesto.
Un algoritmo intelligente, appositamente progettato, sarà allora in grado di controllare in brevissimo tempo la costituzionalità dei testi, la loro forma e coerenza interna, la semplicità di lettura e di applicazione, le varie fattispecie che ne derivano.
Altri algoritmi potranno aiutarci a semplificare il corpus normativo già esistente, individuando quelle leggi che non hanno più alcuna ragion d’essere, accatastate sulle altre dalle ramificazioni burocratiche; quelle che vanno riformulate, quelle di troppo, quelle ingiuste, quelle mancanti. Quali ambiti sociali, culturali, applicativi risultano “scoperti”?
Un sistema quantistico sarebbe in grado di svolgere in pochissimo tempo il lavoro da “topo di biblioteca” che un team di specialisti realizzerebbe in molti e molti mesi.
Così facendo, forse, si può pensare di abbattere la corruzione, così come le inutili scaramucce di parte, i compromessi a ribasso per far votare a favore o contro un determinato provvedimento a quella data forza politica, e avere quindi la maggioranza.
La stesura delle leggi avrà una parte puramente tecnica, libera dai condizionamenti di partito, o da interessi lobbistici, che si svolgerà anche con l’ausilio delle intelligenze artificiali; e una parte prettamente politica, che dovrà chiarire il quadro generale, di senso e valori, all’interno del quale le leggi del futuro dovranno e potranno muoversi.
Non ci sarà più bisogno di fare in fretta (rischiando di far male), per battere l’avversario sul tempo, per guadagnare consenso, per sbandierare e attribuirsi un certo risultato, magari poi nemmeno così incisivo, ma lo “scalpo” che oggi serve tanto spesso a un leader per poter andare avanti, così come il vincere una partita serve all’allenatore di una data squadra di calcio.
I campi su cui legiferare, poi, saranno vastissimi, e porranno al legislatore questioni più filosofiche, etiche e morali, che non di tecnica politica o giurisprudenza in senso stretto. La gestione dei codici è roba ormai da delegare alle macchine. A noi esseri umani interessa il senso delle cose.
E, mentre il tempo della tecnica sfreccerà velocissimo, noi avremo il tempo di riflettere sui problemi fondamentali dell’esistenza.
In questo modo, lo stesso sistema democratico potrà essere migliorato e sviluppato, ripensando anche tabù intoccabili come elezioni e referendum.
Ci sarà una forma di collaborazione attiva e continua della cittadinanza – la creazione di una “piattaforma politica nazionale” attraverso la quale persone “comuni”, insieme a esperti o “saggi” (sul modello dei senatori a vita), contribuiranno a creare, ricreare e tenere al passo coi tempi la struttura fondamentale della nazione.
Si tratterà allora della natura dei valori condivisi, e del valore di queste condivisioni; di scelte etiche e pragmatiche e quindi politiche (gli specialisti, in questi casi, resteranno sempre persone qualificate, anche più di quanto non lo siano adesso), come ad esempio scegliere dove far passare un dato impianto di trasporto dell’energia, dove far sorgere una centrale, se edificare un nuovo quartiere residenziale in una data periferia oppure ristrutturarne uno già esistente. Etica, allora, che si sposerà anche con una diversa visione dell’economia.
In questo caso, non sarà propriamente l’introduzione di un tipo di tecnologia a creare un cambiamento epocale, ma il rendersi conto, piuttosto, dello sviluppo a portata di mano che offrono quelle già in opera, e quindi grazie al loro utilizzo, alla loro implementazione, cambiare l’approccio generale.
Come ebbe a dire Alexandru Petrescu, durante la presidenza di turno della Romania al Consiglio Europeo: “La politica digitale dell’UE deve mantenere una dimensione etica e umana. Occorre evitare un’inutile burocrazia che ostacolerebbe l’innovazione. Tutti i cittadini europei e tutte le imprese europee, a prescindere dalle loro dimensioni e ubicazione, dovrebbero trarre vantaggio dalla digitalizzazione.”