Draghi e i giornalisti. Analisi della prima conferenza stampa del neo premier

di Francesco Giorgino

Il più grande errore che uno studioso di comunicazione e di marketing può fare nel momento in cui decide di dar vita ad un’analisi del contenuto, specie se di taglio semiotico, è quello di condizionare le proprie traiettorie interpretative alla tentazione di paragoni tra una persona e l’altra, tra una situazione e l’altra.

È bastato che pubblicassi sul mio profilo Facebook la notizia della preparazione dell’articolo che in questo momento i lettori stanno leggendo per scatenare una rilevante quantità di commenti: molti a favore di Draghi e alcuni a favore di Conte, come se il problema fosse quello di esprimere una preferenza tra l’operato dell’ex Presidente del Consiglio e quello del Presidente in carica. O come se il problema fosse quello di individuare a tutti i costi un vincitore e un vinto. Operazione inutile, specie perché si svolgerebbe su un presupposto palese ai più, ovvero quello della diversità caratteriale dei due leader e del differente contesto politico-istituzionale nel quale l’agire comunicativo si è sviluppato e si sviluppa in sovrapposizione o in parallelo all’agire deliberativo. Le scienze sociali sono avalutative e, quindi, non si tratta di evidenziare chi ha torto e chi ha ragione, ma solo di analizzare le strategie messe in campo per riuscire a trasferire all’opinione pubblica le informazioni più coerenti con gli obiettivi da perseguire e con il proprio modus operandi.

Oggetto del presente articolo è l’analisi della prima conferenza stampa da premier di Mario Draghi. Abbiamo già avuto modo di esaminare nel dettaglio la sua comunicazione istituzionale in occasione del discorso e delle repliche alle Camere per il voto di fiducia al suo governo. A quell’esercizio di ermeneutica ci ispiriamo, ricordando quanto messo in risalto in quella circostanza: la “impostazione marcatamente prospettica”; “il pragmatismo e l’essenzialità”; la “concretezza e la contestualità”; la “intonazione non dubitativa”. Abbiamo, altresì, sottolineato la determinazione di Draghi a porre al centro dell’attenzione i temi e non i leader e a ridimensionare il potere semantico dello schema binario che estremizza la logica polarizzante dell’ecosistema comunicativo digitale. A quei contributi, pubblicati entrambi da Luiss Open, si rimanda per l’individuazione della cornice di riferimento.

In questo caso, invece, ci si vuole concentrare su due questioni inerenti l’incontro con i giornalisti, tradizionalmente intesi dalla letteratura scientifica come il simulacro dell’opinione pubblica nelle democrazie rappresentative, sebbene all’interno del modello della società a rete. La prima questione è inerente il “cosa”. La seconda è inerente, invece, il “come”. Contenuto e forma, dunque, considerando quest’ultima come l’occasione per prendere in considerazione la complessiva e più ampia interazione tra istituzioni politiche e istituzioni mediali. I due piani del ragionamento si intrecciano e quindi è utile sottolineare in premessa che la loro separazione è riconducibile solo a esigenze di maggiore chiarezza espositiva e a motivi metodologici, come si addice ad un magazine research.

Sia nell’introduzione sia nelle risposte di Draghi alle domande dei giornalisti si è avvertita la necessità di tenere i piedi per terra e di non enfatizzare quanto deciso nel Consiglio dei Ministri del 19 marzo 2021, durante il quale non sono mancate tensioni in ordine alla rottamazione delle cartelle esattoriali. In tal senso sono interpretabili espressioni come “primo passo”, “risposta parziale o come “il massimo che potevamo fare all’interno di questo stanziamento”. Espressioni adoperate da Draghi per illustrare insieme con i Ministri Franco e Orlando il cosiddetto decreto “Sostegni”.

Senso di realismo, radicamento alla dimensione fattuale, principio di verità e di responsabilità. Una scelta che si traduce in un’opzione chiara in favore dell’uso dei sostantivi più che degli aggettivi, al netto di lemmi come “significativi” e “consistenti” che hanno accompagnato la spiegazione degli interventi messi in campo per ridurre la povertà e andare incontro ai bisogni di imprese e cittadini. Principio di verità, dicevamo, come quando Draghi non evita il termine “condono”, specificando che di questo si tratta anche se per multe di 15 anni fa. Ma anche quando egli sottolinea che l’accumulo di milioni di cartelle esattoriali è la prova che lo Stato non ha fatto lo Stato perché non è stato efficiente e tempestivo o come quando, parlando delle difficoltà della campagna di vaccinazione in Europa, riconosce che errori ne sono stati fatti e che “se il coordinamento europeo non funzionerà, saremo costretti a far da soli”.

Non sono mancati contenuti in linea con la logica della semplificazione tipica della comunicazione nell’era del postmodernismo come quello che, più di altri, certifica che l’ex Presidente della Bce non è a disagio davanti a taccuini, telecamere e macchine fotografiche. Anzi. Il riferimento è all’espressione “quest’anno non si chiedono soldi ai cittadini, si danno”. Frase semplice, di poche parole, quasi un claim, la cui efficacia è garantita dal dualismo non fare/fare e non posso/posso che incoraggia la percezione delle reali priorità programmatiche e che colloca le decisioni politiche all’interno di una gerarchia rilevante sotto il versante sia diacronico sia sincronico. Assumersi la responsabilità di quello che si è fatto o che si intende fare è un buon sistema per accrescere la percezione di trasparenza ed autenticità e anche per evidenziare la determinazione a comunicare denotando e connotando le situazioni in modo semplice ed essenziale, senza nascondersi in parafrasi, mostrando anzi una chiara propensione in favore della paratassi più che dell’ipotassi.

Veniamo ora al “come”. E’ molto forte in Draghi la consapevolezza di essere impegnato in quello che, nel linguaggio semiotico di Greimas, chiameremmo la “prova qualificante”. E ciò, a maggior ragione poiché, a causa del permanere della situazione emergenziale, è ancora di là a venire il tempo della “prova decisiva” e di quella “glorificante” rispettivamente intese come fasi della “performanza” e della “sanzione”, ovvero del successo nella difficile battaglia contro il Covid-19.

Non c’è retorica nel suo eloquio diretto e spontaneo. Non ci sono forzature di senso, né iperboli. Non ci sono sopravvalutazioni di significato, né sottovalutazioni. Non c’è ampliamento, né ridimensionamento dei significanti. Non ci sono allarmismi, né distrazioni rispetto alla meta da raggiungere. Tutto si sviluppa dentro i binari della misura, del controllo e dell’autocontrollo, della fiducia, della de-ideologizzazione e della identitarietà mitigata.

L’intensità della voce è direttamente proporzionale all’importanza delle cose da fare (prima) e da dire (poi). L’intonazione è incline più alla spiegazione che alla giustificazione, anche di fronte a domande insidiose. Nel suo bagaglio prosodico e cinesico vi è anche un discreto utilizzo delle pause, in tandem con una misurata gestualità delle mani e con un generoso ricorso al linguaggio dello sguardo. Generoso, poiché ad ogni risposta egli ricercava l’interlocuzione visiva (e non solo quella auditiva) con l’autore della domanda. Un modo per parlare ai giornalisti e contemporaneamente ai cittadini che hanno seguito la conferenza stampa attraverso le testate all news, le piattaforme social e i siti web d’informazione.

I giornalisti, grazie all’organizzazione voluta e gestita in prima persona da Paola Ansuini (che ha la responsabilità della comunicazione di Palazzo Chigi), sono stati messi in condizione di porre due domande ciascuno. L’unico limite è stato quello temporale, ovvero i sessanta minuti complessivi a disposizione del governo e dei newsmakers politici ed economici per parlare della riunione del Consiglio dei Ministri. Tempo congruo per soddisfare le due esigenze presenti in un contesto ad alta notiziabilità come quello che qui si sta analizzando: la comunicazione istituzionale da un lato e l’informazione dall’altro. Esigenze parallele che è giusto si incontrino, ma senza prevaricazioni dell’una sull’altra e in base al presupposto del reciproco rispetto di ruoli e funzioni.

Draghi ha risposto volentieri alle domande dei cronisti. Ha risposto a tutti e su tutto, in modo sintetico ma non per questo superficiale. In un libro di alcuni anni fa dal titolo “The Economics of Attention” Richard Lanham sosteneva che l’era dell’informazione si traduce nella transizione dal concetto di “sostanza” a quello di “stile” ovvero nelle tecniche che consentono di catturare l’attenzione degli altri. Christian Salmon estese questa transizione dallo “stile” al “racconto”. La comunicazione di Draghi, almeno fino a questo momento, è stata “sostanza” da uomo delle istituzioni, più che “storytelling” da celebrity.

Non c’è creazione di un bisogno condiviso dietro la sua strategia di governo della sfera pubblica mediata. Non c’è nemmeno desiderio di trasformare la popolarità in consenso. C’è, piuttosto, la determinazione a non deludere le aspettative di tanti, anche se non di tutti. E non è poco.

 

(Credit foto di copertina: Governo Italiano – Presidenza del Consiglio dei Ministri)